Come le eclissi, l’allineamento di certi fattori politici e sociali fanno riemergere il dibattito sull’imposta patrimoniale in Italia.
Il dibattito sulla patrimoniale in Italia: un ritorno ciclico
È veramente un argomento trito, che ha forse avuto una seria rivitalizzazione qualche anno fa, quando Enrico Letta, allora segretario del Partito Democratico, aveva lanciato l’ipotesi di una “patrimoniale per i giovani”, vale a dire una nuova imposta finalizzata, in primis, allo sviluppo delle nuove leve, certamente anche attraverso una migliore formazione scolastica.
Ovviamente, non se ne fece nulla e il progetto probabilmente contribuì ad affossare ulteriormente entrambi (Partito Democratico, sconfitto alle elezioni, e segretario, in seguito dimessosi).
Riparlarne ora può non aver senso, se il tentativo è quello di far digerire un inasprimento delle imposte dirette o dell’Iva (tutto, ma la patrimoniale no…).
Oppure può aver senso, se si prova a metterla in prospettiva davanti allo scenario economico e sociale che si sta delineando.
Patrimoniale “strisciante” in Italia: l’Imu e altre imposte
Per amor di verità, una patrimoniale “strisciante” in Italia c’è già, ed è l’Imu (per chi possiede immobili) e l’imposta di bollo sugli strumenti finanziari (per chi possiede ricchezza finanziaria), affiancate rispettivamente da Ivie e Ivafe, per chi immobili o ricchezza finanziaria li detiene all’estero.
E come già osservato da eminenti studiosi, il welfare in crisi costringe molti cittadini a ricorrere ai servizi offerti dai privati, con i costi che ne conseguono: una specie di addizionale Irpef/imposta patrimoniale, che riduce in ogni caso le finanze di quei cittadini.
Ciò premesso, a mio avviso l’appuntamento con l’imposta patrimoniale, o con un dibattito che non la utilizzi come spauracchio, ma ne valuti serenamente i pro e i contro, è solo questione di tempo, peraltro poco.
La prendo alla lontana, ma solo per farmi capire; con l’avvento della ferrovia forse non fu subito chiaro che gli allevamenti di cavalli sarebbero presto spariti; idem con l’avvento dei pc, se pensiamo allo stuolo di segretarie che erano impiegate solo fino a qualche anno fa.
Intelligenza artificiale e futuro del lavoro: come cambia la capacità contributiva?
Orbene, l’intelligenza artificiale, per quel poco che la conosco, pare in grado di soppiantare moltissimi lavori “intellettuali”, e probabilmente procederà, prima o poi, a trasformare radicalmente anche i lavori manuali, se non addirittura (ci sono già degli assaggi al riguardo) i mestieri più creativi (ad esempio, scrivere sceneggiature).
Se quindi l’uomo sarà alleggerito/esentato dall’attività produttrice di reddito, quale sarà il nuovo parametro per misurare la capacità contributiva? Ma ancor prima, come sarà distribuita la ricchezza?
La redistribuzione della ricchezza: il ruolo della patrimoniale
È evidente, occorrono doti divinatorie; nel frattempo, possiamo tutti osservare come questa transizione comporterà due rischi, di cui uno già evidente:
- il primo è l’ottundimento delle capacità cerebrali umane: potrebbe accadere quello che è successo con l’avvento delle calcolatrici, ovvero fare di conto a mente è divenuta una capacità sempre più elitaria; idem, o peggio, con l’intelligenza artificiale, potremmo ridurre nettamente le nostre capacità logiche (c’è chi ragiona per noi);
- il secondo, già in atto, è la concentrazione della ricchezza in capo a pochissimi soggetti.
Concentrazione della ricchezza: la patrimoniale come strumento necessario
La patrimoniale non può mantenerci intelligenti (per quanto potrebbe rivelarsi un atto di resipiscenza non da poco), ma può certamente far prendere atto che, almeno saltuariamente, occorre procedere a una seria redistribuzione della ricchezza.
I motivi di tale necessità a me sembrano evidenti, ma vorrei sottolinearne uno, in particolare, ed è il sostanziale fallimento della riforma fiscale attualmente in itinere nel perseguire un tale obiettivo, forse perché il vero obiettivo è un altro.
Fallimento della riforma fiscale: il vero obiettivo è una patrimoniale?
Come spesso accade (i più colti la chiamano la “eterogenesi dei fini”) nelle prossime settimane si parlerà di patrimoniale solo perché non si sa dove altro reperire le risorse necessarie; sarebbe già un passo avanti, a mio avviso, comprendere che è un’imposta probabilmente utile o addirittura necessaria, specie se rivolta ai grandi patrimoni (che oggi risultano peraltro in rapida crescita).