Si sta verificando una combinazione per la quale l’inflazione scende meno del previsto e, allo stesso tempo, la Fed rialza i tassi in misura inferiore a quanto sarebbe stato necessario senza l’incubo della crisi bancaria.
All’interno di questa cornice, l’oro è tornato oltre quota 2.000 dollari l’oncia. Chi adesso si posiziona per ulteriori rialzi, mantenendolo in portafoglio o acquistandolo, probabilmente teme nuove fibrillazioni sull’azionario e una frenata sul rialzo dei tassi
Nel corso di venerdì 24 marzo, come già avvenuto nel corso della settimana, l’oro ha rivisto i 2.000 dollari: una soglia che continua a essere difficile da superare e che dista a un pugno di punti percentuali dai massimi storici. Al momento della pubblicazione, il bene rifugio per eccellenza si mantiene poco al di sotto della fatidica soglia, in una fase segnata da “un mix di paura e aspettative più moderate sul rialzo dei tassi”, che ha dato nuovo slancio all’oro. Quanto ha pesato la crisi delle banche Usa su questa nuova scansione?
“E’ la terza volta in tre anni che l’oro raggiunge i 2.000 dollari l’oncia. C’era arrivato nell’estate del 2020 nei mesi post pandemici, c’è arrivato quando è scoppiata la guerra fra Russia e Ucraina l’anno scorso e vi torna adesso in uno scenario di paura per il sistema bancario e di tensioni sulle Borse”, ha affermato a We Wealth Carlo Alberto De Casa, analista e autore per Hoepli de ‘I segreti per investire sull’oro’, “La paura non è l’unico fattore dietro al rialzo, tuttavia, l’altro motivo-chiave riguarda la Federal Reserve e le banche centrali”, ha aggiunto De Casa, “fino a poche settimane fa i mercati si attendevano tassi dei fondi federali potenzialmente al 6%, ora le attese si sono ridotte e forse vedremo un ulteriore rialzo, che sicuramente non ci porterà ai livelli ipotizzati in precedenza”.
Attualmente il range dei tassi arriva al 5% negli Stati Uniti, con attese per un ulteriore rialzo da 25 punti base. L’oro, che non genera rendimenti, tende a scendere quando i tassi aumentano poiché diventa più conveniente detenere titoli di Stato a basso rischio per ricavare maggiori performance. L’aumento dell’oro di questi ultimi giorni, dunque, anticipa la fine del ciclo di rialzi e si prepara all’ipotesi di un graduale ribasso, che la Fed mette in conto nel corso del prossimo anno.
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Inflazione e oro, quale relazione c’è in questa fase?
Mentre le tensioni sul sistema bancario sono aumentate, con la possibilità di una stretta su credito con potenziali effetti positivi sul contenimento dell’inflazione, cosa dovrebbero augurarsi gli investitori in oro sul fronte dei prezzi? In generale, l’oro viene visto come una protezione anti-inflazione e il suo ribasso potrebbe non aiutare il valore del metallo giallo. In seguito al caso Svb, tuttavia, si sta verificando una combinazione per la quale l’inflazione scende meno del previsto e, allo stesso tempo, la Fed rialza i tassi in misura inferiore a quanto sarebbe stato necessario senza l’incubo della crisi bancaria.
“In questa fase le banche centrali hanno continuato a rialzare i tassi, ma il focus si sta spostando gradualmente dal combattere l’inflazione a garantire la tenuta del sistema”, ha affermato De Casa. Infatti, l’aumento dei tassi contribuisce ad aumentare le perdite non realizzate del sistema bancario, che ha acquistato una quantità di titoli obbligazionari a lungo termine il cui valore di mercato è diminuito. Secondo le ultime stime dell’università della Pennsylvania negli Stati Uniti le banche contano perdite non realizzate per 1.700 miliardi di dollari. Una fuga dai depositi costringerebbe a realizzare parte di quelle perdite ed è un rischio che va scongiurato – rallentare con i rialzi dei tassi, potrebbe aiutare a calmare gli animi.
Quali fattori stanno influenzando di più l’andamento dell’oro in questa fase? “La correlazione più robusta dell’oro è quella inversa tra rendimento reale del T-Note (quindi decurtato dell’inflazione)”, ha dichiarato a We Wealth Eugenio Sartorelli, membro del comitato scientifico della Società italiana analisi tecnica (Siat), “pertanto, rendimenti bassi del T-note e comunque inflazione elevata sono più favorevoli al prezzo dell’oro. Certamente in questo pesano anche le politiche della Fed che possono influire sia sui rendimenti dei bond governativi che sull’inflazione”.
L’oro può sfondare ampiamente i 2.000 dollari?
Il muro dei 2.000 dollari l’oncia si è rivelato coriaceo nelle precedenti occasioni e l’esperienza del passato potrebbe suggerire che vendere attorno a questa soglia rappresenti un buon punto per la presa di beneficio, trattandosi sostanzialmente di una vendita sul massimo storico.
L’incertezza sul sistema bancario potrà cambiare questo paradigma? “Questa fase di incertezza sembra poter proseguire, almeno sino a quando non si darà credito alle parole di banchieri centrali e governi che stanno facendo da pompieri”, ha affermato Sartorelli, “quando il sentiment generale è deteriorato non si rientra alla normalità in breve tempo. Tra l’altro la volatilità implicita sull’oro (quella misurata attraverso il mercato delle opzioni) è salito parecchio dal 10 marzo in poi, un ulteriore segnale dell’esuberanza di questo mercato”.
“Quella dei 2.000 dollari è una soglia fatidica, va poi monitorata quella dei 60 euro al grammo per l’investitore europeo”, ha detto De Casa, “se l’oro in questi giorni non è riuscito a sfondare oltre i precedenti record è anche dovuto al rientro delle tensioni dopo la prima fase”, dopo il fallimento di Svb e Signature. “In questo momento la prima resistenza è in area 2.070-2.080 dollari. Altri livelli chiave li hanno individuati alcune grandi banche d’affari come Goldman Sachs (2.500 dollari), ma ci troviamo su terreni mai esplorati dall’oro”, ha detto De Casa, “secondo me, l’ostacolo sui nuovi rialzi consiste nella consapevolezza che le banche centrali non potranno abbassare i tassi molto presto, perché rimane l’obiettivo di contenere l’inflazione”.