I clienti cercano nel consulente un attore di cui fidarsi. Ecco perché, prima di spostare interamente le proprie masse sui robo advisor, attendono un certo track record
Moneyfarm vanta 2,4 miliardi di euro di masse in gestione e un portafoglio medio investito sui 36mila euro
Le nuove generazioni potrebbero presto traghettare le proprie masse in modo rapido sui robo advisor
Tra i principali operatori in Italia con un modello B2C, continua Grassi, ci sono Moneyfarm e Euclidea. Anche se entrambe si stanno aprendo sempre di più anche al segmento B2B2C (basti pensare, nel caso di Moneyfarm, alla partnership stretta nel 2018 con Banca Sella, a quella di fine 2019 con Poste Italiane o a quella di maggio 2021 con buddybank). Stando ai dati raccolti da We Wealth, aggiornati al 31 dicembre 2021, Moneyfarm vanta complessivamente 2,4 miliardi di euro di masse in gestione e un portafoglio medio investito sui 36mila euro. Inoltre, la soglia minima d’investimento risulta pari a 5mila euro e la commissione di gestione compresa tra lo 0,4% e l’1% a seconda del capitale investito. Offre 14 linee di gestione patrimoniale, portafogli multi-asset costruiti con strumenti passivi (exchange traded fund) in un’ottica di medio-lungo termine. E il modello di servizio è di tipo “ibrido”, ovvero integra tecnologia e consulenza tradizionale, con un advisor a disposizione del cliente durante l’intero processo d’investimento. Un po’ come la maggior parte degli operatori (anche se l’utente può tendenzialmente usufruire del servizio in completa autonomia). Euclidea, a sua volta, ha superato ampiamente i 600 milioni di euro di patrimonio in gestione, a fronte di un investimento minimo di 5.000 euro e una fee a partire da 0,6%. I portafogli sono composti da etf e fondi a gestione attiva.
Qualche anno fa, ricorda Grassi, si pensava che i robo advisor avrebbero sottratto in maniera quasi immediata “una certa fetta di clienti ai gestori tradizionali”. Ma così non è stato. “Il cliente, oggi, è multi-attore. Per cui rimane con il player più tradizionale ma magari si rivolge anche al robo advisor, suddividendo i propri risparmi in modo non omogeneo. Questo perché cerca nel suo interlocutore un attore di cui fidarsi. Per cui chi vuole testare il robo advisor, prima di spostare interamente le proprie masse, desidera un certo track record. Nonostante in finanza si dica sempre che i rendimenti passati non hanno nulla a che fare col futuro”. Un altro tema da considerare, infine, è quello del passaggio generazionale. La clientela retail, spiega Grassi, si compone di una fetta più matura della popolazione che si affida al proprio gestore o attore di riferimento. Ma quando questi risparmi saranno traghettati verso “una generazione di 30 anni più giovane” potremmo assistere “a un cambiamento radicale”. Questo perché, racconta l’esperta, si tratta di soggetti che tendono a utilizzare sempre più app o modelli di interazione innovativi, che possono derivare dalle relazioni strette sui social network o dal conversazionale col chatbot. Rinunciando dunque alla filiale e all’incontro fisico col gestore. Di conseguenza, conclude Grassi, ci troviamo oggi “in un periodo di mezzo dove una parte della clientela sta testando questi servizi e un’altra, in vista di questo passaggio generazionale, potrebbe prendere più avanti delle decisioni diverse e spostare in modo rapido le masse sui robo advisor”.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di febbraio 2022)