Negli ultimi quarant’anni al vertice del mercato si sono avvicendate moltissime società e quasi nessuna è riuscita a sopravvivere alla prova del tempo. Delle società più grandi al 2010 solo Apple e Microsoft hanno ancora questo status
Nel 2020 le 10 mega-cap hanno contribuito per il 40% al rendimento generato dal mercato. Ma cosa succede quando i mercati invece di essere al rialzo sono al ribasso?
Nulla è per sempre
Basta guardare alla composizione dei primi dieci titoli per grandezza nel tempo per accorgersi che anche le mega-cap non sono invincibili. Una società può restare all’apice del mercato anche per decenni, ma prima o poi cadrà fuori dalla top ten. E così nessuno dei dieci titoli più importanti negli anni ottanta, e poi negli anni novanta ed infine nella prima decade del nuovo millennio compare tra i primi dieci nel 2021. Negli anni ottanta i titani erano i titoli petroliferi, che furono vinti dieci anni più tardi dai conglomerati giapponesi, a loro volta sopraffatti dall’avanzata tecnologica, in attesa di capire se i nuovi dei abbiano tratti orientali. Le uniche due aziende che sono rimaste al vertice dal 2010 sono Microsoft e Apple, due titoli a vocazione tech. Comparto, secondo alcuni, però attualmente dalle valutazioni troppo alte. Le big tech in effetti non rischiano meno di quelle che erano sulla cresta dell’onda all’epoca della bolla dot-com.
Concentrazione di mercato
Research Affiliates ha confrontato la situazione odierna con quella di un ventennio fa, evidenziando come il mercato di oggi sia più concentrato e come la redditività delle mega-cap sia appena superiore rispetto a quella di ieri. Il peso dei primi dieci titoli per capitalizzazione sull’intero mercato oggi ha raggiunto un massimo storico, attestandosi al 16,6%. Al culmine della bolla tecnologica nell’aprile del 2000, tale livello era di gran lunga inferiore e pari al 13,7%. Inoltre confrontando la dimensione economica, rappresentata dai fondamentali di un’azienda (vendite aziendali, flussi di cassa, dividendi, buyback e valore contabile), emerge come le società di oggi godano di una salute economica maggiore solo marginalmente. Risulta infatti che i pesi dei due gruppi da un punto di vista dei fondamentali siano rispettivamente del 5,4% (aprile 2000) e del 6,9% (settembre 2020).
I primi (e ultimi) della classe
Un’alta concentrazione è una bandiera rossa per gli investitori, in quanto la performance di un indice ponderato per la capitalizzazione, come lo è l’S&P 500, per fare un esempio, dipende molto dall’andamento di questi titoli. In sostanza investire in un indice con o senza questi titoli cambia. Nel 2020 per esempio il mercato azionario globale, esclusi questi titoli, ha reso il 12,4%. Una cifra considerevole considerando che di mezzo c’è stata di mezzo la pandemia. Ma i primi dieci titoli hanno fatto ancora meglio, rendendo, a livello cumulato, il 58,5%, portando il rendimento dell’indice globale al 17,2%. In altri termini, dieci titoli su migliaia hanno contribuito da soli per il 40% del rendimento complessivo del mercato. Ma cosa succede quando i mercati invece di essere al rialzo sono al ribasso?
La valenza growth e gli investitori retail
Nulla di buono. Oltre al rischio concentrazione, queste aziende soffrano anche di un altro problema: sono aziende growth. Come hanno mostrato infatti Arnott, Li e Sherrerd (2009a, b), gli investitori tendono a scontare eccessivamente le aziende value e a strapagare le aziende growth. Il tonfo potenziale in cui possono dunque incombere queste società è molto profondo. A ciò si aggiunge che stanno emergendo nuove criticità di mercato. La percentuale di azioni scambiate nel mercato statunitense dagli investitori retail è aumentata sostanzialmente nell’ultimo decennio, saltando dal 15% al 20% solo nel 2020. Ciò ha portato ad inefficienze di mercato. L’uso delle opzioni e della leva finanziaria è aumentato considerevolmente. Inoltre si è assistito a numerose deviazioni di prezzo. Alcune volte per errore, come nel caso di Zoom Technologies (ticker zoom) che è stata scambiata per Zoom Video Communication (ticker zm), vedendo il proprio prezzo salire alle stelle (del 1000%) per poi ripiombare a terra. Altre volte consciamente, come nel caso del Dogecoin. L’avvento dei piccoli investitori, agevolato da app come Robinhood che permettono di acquistare anche frazioni di azioni, ha interessato anche i titani. A dicembre 2020, le prime 10 società avevano un multiplo di valutazione medio di 12,6, tre volte superiore al resto dell’universo azionario globale.
Una strategia a prova di mega-cap
Come fare dunque per non incappare nel tonfo (eventuale) dei titani? Per Research Affiliates seguire strategie multi-fattoriali smart beta, in grado di migliorare la diversificazione del portafoglio sia in termini di rischio di concentrazione che di stile d’investimento al contempo generando rendimento a lungo termine, è la scelta migliore che un investitore possa fare. Un esercizio numerico lo dimostra: considerando il periodo tra giugno 1992 a dicembre 2020, Research Affiliates osserva come aggiungendo un’ allocazione multi-fattoriale a un benchmark generico, quale l’indice MSCI sui mercati sviluppati, si ottengono risultati notevoli. Al crescere della quota investita nella strategia multi-fattoriale, il rendimento di portafoglio aumenta e volatilità e concentrazione si riducono.