Le compagnie navali stanno dirottando i propri convogli verso l’Africa Occidentale, bypassando il canale di Suez e doppiando il Capo di Buona Speranza; una deviazione che aggiunge circa un milione di dollari di costi legati al carburante
Giacomo Calef (Ns Partners): “È chiaro che il prolungamento delle tensioni nell’area porterebbe a un incremento dell’inflazione non indifferente, secondo gli esperti quantificato nello 0,7% per fine 2024”
Le tensioni nel Mar Rosso alimentano i timori su una nuova fiammata dell’inflazione. Dal 19 ottobre, quando iniziarono gli attacchi dei miliziani Houthi dello Yemen, il numero di navi che attraversano la zona ha subito una forte contrazione. Solo da inizio anno il volume di container in transito si è ridotto del 66% rispetto alla media storica. “Le compagnie navali stanno infatti dirottando i propri convogli verso l’Africa Occidentale, bypassando il canale di Suez e doppiando il Capo di Buona Speranza, una deviazione che aggiunge dai 7 ai 20 giorni di navigazione e circa un milione di dollari di costi legati al carburante”, racconta Giacomo Calef, country head Italy di Ns Partners.
Intanto anche i noli marittimi sulla rotta Shanghai-Rotterdam sono aumentati, balzando dai 1.500 dollari di novembre agli attuali 4.000 dollari. Per di più, le aggressioni Houthi “hanno ridotto la disponibilità di alcuni beni, come la componentistica automobilistica che ha causato uno stop alla produzione nello stabilimento Tesla di Berlino almeno fino al prossimo 11 febbraio”, dichiara Calef. E anche l’Egitto teme un contraccolpo economico, se si considera che il pedaggio per il passaggio da Porto Said (nel nordest del Paese) a Suez ha generato oltre 10 miliardi di dollari di entrate lo scorso anno.
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Le aspettative sui tagli dei tassi
“Alla luce di tutto questo, il rischio di un’escalation della situazione è concreto anche se, paradossalmente, l’inflazione potrebbe non subire grossi scossoni al rialzo”, osserva il country head. “I noli sono saliti significativamente, ma restano ben lontani dai 14mila dollari osservati durante la pandemia. Inoltre, i costi di trasporto contano solo per una piccolissima parte del valore complessivo di alcuni beni che pesano molto nel calcolo del Cpi (Consumer price index, misura del costo della vita basata sulle modifiche subite dai prezzi, ndr)”. Nonostante ciò, aggiunge Calef, è evidente che un prolungamento delle tensioni genererebbe un sensibile aumento dell’inflazione, stimato nell’ordine dello 0,7% per il 2024. Inoltre, gli operatori potrebbero rivedere anche le aspettative sulle mosse delle banche centrali. Al momento, infatti, i trader si attendono sei tagli a partire da marzo per quanto riguarda la Federal Reserve. “Le prossime settimane saranno cruciali per capire se queste aspettative dovranno essere del tutto ridimensionate”, conclude Calef.
I mercati emergenti più a rischio
Anche per S&P Global Ratings la crisi nell’area aumenta il rischio di pressioni al rialzo sull’inflazione, insieme alle continue perturbazioni nel Canale di Panama. “Il Mar Rosso è una rotta fondamentale per il transito di materie prime energetiche (in particolare petrolio e gas naturale liquefatto) e per le merci in generale”, si legge nell’ultimo aggiornamento mensile dell’agenzia. “I costi di trasporto sono aumentati come reazione al conflitto, sebbene il rialzo dei prezzi delle materie prime sia rimasto finora contenuto”. S&P prevede che i mercati emergenti più direttamente colpiti saranno India, Cina e Turchia. Occhi anche sulla Polonia, sia per le importazioni di petrolio che per le interruzioni della catena di approvvigionamento.