Su Il Sole 24 Ore di qualche settimana fa è uscito un articolo di Paolo Venturi e Flaviano Zandonai che discettava di come alla base dei grandi cambiamenti umani e organizzativi vi sia il desiderio, un’urgenza di migliorare la realtà, che diventa “meccanismo generativo delle grandi transizioni socio-economiche”. Guardando alla transizione demografica in atto e alla recente osservazione di un rallentamento del trend di crescita della longevità, la sensazione è che più che contrarsi le possibilità degli individui di scalare i 100 anni, si stia aprendo sempre più la forbice delle disparità che, nell’anonimità delle medie, abbassano l’aspettativa di vita delle nazioni.
Citando il Prof. Andrew Scott, autore del The Longevity Imperative, verrebbe da sintetizzare che la seconda, fondamentale, rivoluzione della longevità, quella che permetterà di ridisegnare le società in base a questo nuovo parametro, arriverà quando avremo compreso e incarnato il desiderio non tanto di vivere sempre più a lungo, quanto di mantenere condizioni di benessere (fisico e mentale, finanziario, sociale) il più a lungo possibile nell’arco di tempo che ci è dato. Desiderio che si traduce, dal punto di vista delle istituzioni, nella promozione di un benessere diffuso orizzontalmente tra la popolazione e verticalmente sull’asse di longevità. Questo desiderio, quando prenderà forma, cambierà davvero le nostre società in società della longevità, permettendo di distribuire il dividendo, che non può che essere collettivo, della transizione demografica.
Longevità: come stanno reagendo i consulenti
Gli autori dell’articolo commentano i tre approcci tipo a queste transizioni: “i conservatori, ossia coloro che temono il cambiamento e cercano di ripristinare il passato; gli adattivi, che rispondono alle emergenze senza una visione a lungo termine; e coloro che, mossi dal desiderio, coltivano una vera innovazione, consapevoli che il cambiamento è un processo collettivo”. Parole che ben si adattano a come sta reagendo il mercato della consulenza finanziaria, in cui persistono professionisti che alla provocazione di un Longevity Planning che vada ben oltre la sola gestione della ricchezza finanziaria mostrano fastidio, ribadendo che loro sono esperti di asset management, punto. Altri che si adattano, spesso spinti dalle strategie di bancassurance delle mandanti, a uscire dal ristretto ambito dell’efficienza del prodotto finanziario per avvicinare i nuovi bisogni di protezione di una clientela sempre più longeva. Ma non hanno in testa un chiaro disegno di sviluppo della propria professionalità.
E infine i pochi che guardandosi intorno con curiosità percepiscono che il nostro modello di vita si sta rivoluzionando, il welfare pubblico si restringe sotto il peso dell’invecchiamento della società e quello familiare si fa sempre più esiguo sotto un’incalzante denatalità. E immaginano, desiderano, prefigurano un modo nuovo e diverso di fare consulenza, superando l’efficienza finanziaria con l’efficacia della progettazione di un piano di longevità diverso per ognuno. È così che il mercato potrà sposare l’intelligenza artificiale affidandole le redini della performance finanziaria delle proprie raccomandazioni e presidiando al contempo, attraverso questi professionisti, quel rapporto di fiducia, ascolto e confidenza con la clientela che permette di trasformare un business plan di lungo termine in una sceneggiatura felice della vita del cliente.
I cliché sulla longevità nel mondo delle imprese
Gli stessi cliché di approccio si ritrovano nel mondo delle imprese, dove i conservatori allontanano con fastidio l’idea di dover rivedere le logiche di carriera e di incentivo secondo le nuove istanze di flessibilità, welfare personalizzato e sviluppo di carriera. Altri hanno compreso che è l’unico modo per soddisfare le aspettative di una forza lavoro sempre più esigua, cui una guerra tra poveri sta passando lo scettro della contrattazione per un breve lampo che ci sotterrerà sotto un enorme problema di people scarcity e mancata produttività.
Pochi illuminati rivedono il rapporto con i lavoratori e le tante generazioni che essi esprimono e stanno formando un management nuovo, capace di interpretare le spinte dei più giovani verso una nuova relazione con il lavoro e le lamentele dei lavoratori più senior di fare tappezzeria in aziende che li considerano “scaduti” come desideri che stanno plasmando una nuova concezione del rapporto tra datore di lavoro e prestatore d’opera o di ingegno. Da questo desiderio scaturirà il lavoro di domani, che tornerà a far parte integrante delle nostre vite sfuggendo alla scansione manichea e lineare della seconda parte del ‘900: apprendistato, carriera, pensione. Lavoro come aspetto della vita, dell’espressione di sé, dove nessuno presta niente ma è, agisce, esprime le proprie qualità per un risultato comune. E non esaurisce il proprio contributo con l’età.
Articolo tratto dal n° di dicembre 2024 di We Wealth.
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