Nella costruzione di un portafoglio d’investimento non va mai sottostimata l’importanza degli strumenti che si decide di utilizzare. Una volta che si hanno ben chiari gli obiettivi d’investimento, l’orizzonte temporale e quanto rischio si è disposti a sopportare, un passaggio fondamentale è rappresentato infatti dalla scelta dei prodotti da utilizzare per la messa a terra dell’asset allocation.
Come recentemente osservato dall’Esma – l’autorità europea di vigilanza dei mercati – risulta sempre più alta l’attenzione circa l’utilità complessiva che gli investitori possono trarre dai prodotti di investimento, ovvero il loro rapporto qualità-prezzo. “L’efficienza dei costi, così come la progettazione e la qualità del prodotto, determinano i risultati finali dell’investitore”, rimarca l’Esma.
Negli ultimi anni a guadagnare sempre maggiori consensi tra gli investitori di tutto il mondo sono stati gli Etf (Exchange Traded Funds) in virtù di alcune loro peculiarità quali la facilità di utilizzo, i bassi costi e la trasparenza con cui permettono di posizionarsi sulle principali asset class.
Controllo dei costi
Se in passato i piccoli investitori tendevano a sottovalutare l’impatto che i costi hanno sui ritorni dell’investimento, adesso c’è una maggiore consapevolezza della rilevanza dei costi e di conseguenza si guarda con attenzione alle differenze di costo tra i vari veicoli d’investimento. In Europa i fondi Ucits attivi risultano decisamente più costosi dei fondi passivi e degli Etf e la loro performance netta è stata in media inferiore rispetto a quella degli Etf. Su un orizzonte di 5 anni (2017-2021) i costi annui di un fondo Ucits sono dell’1,7% nell’azionario rispetto allo 0,42% degli Etf. Le performance nette sono del 9,9% annuo per i fondi attivi rispetto all’11,9% degli Etf azionari (dati Esma).Nel concreto, ipotizzando un investimento di 10.000 euro, su 10 anni un fondo attivo ha comportato in media costi complessivi per ben 3.000 euro.
Gli Etf si caratterizzano invece per i bassi costi.
Il Total Expense Ratio (TER), l’indicatore del costo annuo di detenzione, risulta decisamente inferiore a quello dei fondi comuni d’investimento tradizionali. Il TER medio dei fondi quotati a gestione passiva è atteso scendere a 13 punti base nel 2027 rispetto ai 59 pb dei fondi attivi (stime PwC).
Il TER non è la sola voce da guardare per capire i costi di un Etf. Un costo implicito per l’investitore è rappresentato dallo spread denaro/lettera, ossia la differenza tra prezzo d’acquisto e prezzo di vendita dell’Etf. A determinare lo spread denaro/lettera concorrono diversi fattori, a partire dalla liquidità dell’Etf (più è liquido più basso è lo spread), ma anche dalle condizioni di mercato (mercati volatili fanno ampliare gli spread).
La liquidità di un Etf è strettamente correlata al volume degli scambi sullo strumento e in parte anche alla liquidità del sottostante che varia principalmente in funzione della classe di attivo. Certamente un Etf molto scambiato riesce a più che controbilanciare un’eventuale bassa liquidità delle attività sottostanti andando a caratterizzarsi per uno spread denaro/lettera contenuto anche nei casi in cui il sottostante sia poco liquido.
Per informarsi circa i livelli medi dello spread denaro/lettera si possono consultare su Borsa Italiana i dati sulla media mensile dello spread per categoria di prodotti. Stando ai dati di settembre 2023, gli Etf azionari mercati sviluppati e quelli obbligazionari presentano i livelli di spread più stretti (0,10%).
Affidarsi a un Etf poco liquido si traduce in un costo aggiuntivo per l’investitore. Un aspetto utile ad evitare di incorrere in prodotti poco liquidi è guardare anche all’Etf provider. Ad oggi una vasta fetta del patrimonio gestito nel mercato Etf è detenuta una manciata di grandi player globali che fungono da garanzia agli occhi degli investitori in quanto vantano un lungo track record nella gestione di portafogli indicizzati; l’elevata dimensione che solitamente caratterizza i fondi di questi grandi emittenti permette di contenere lo spread denaro/lettera.
In generale, guardare la dimensione dell’Etf in termini di masse gestite può essere molto utile in quanto gli Etf più grandi tendono ad avere degli spread più contenuti rispetto agli Etf di piccole dimensioni, aiutando così a contenere i costi complessivi.
Il broker online Trade Republic, che ha sede a Berlino ed è presente in 17 paesi europei, annovera nella sua piattaforma oltre 2.000 Etf tra cui poter scegliere e prevede la possibilità di attivare dei piani di accumulo (PAC) in Etf con zero commissioni di negoziazione.
Occhio alle differenze
Come già accennato, se si hanno ben chiari gli obiettivi d’investimento, la scelta andrà a cadere su quegli Etf che permettono l’esposizione migliore all’asset desiderato. Gli Etf per loro natura sono stati ideati per replicare degli indici, per cui conoscere l’indice sottostante risulta di vitale importanza. Negli anni si sono moltiplicati gli indici che permettono di prendere posizione su un determinato mercato e pertanto risulta fondamentale valutare la composizione, gli obiettivi, la performance e i rischi di ogni indice.
Ogni Etf si distingue anche per la politica di distribuzione o meno della cedola. L’emittente lo indica nel prospetto informativo del singolo fondo e la scelta tra l’uno o l’altro dipende molto da quali sono gli obiettivi dell’investitore. Gli Etf a distribuzione vanno incontro alle esigenze di chi è alla ricerca di una remunerazione periodica dell’investimento, con la distribuzione che può essere annua, semestrale o anche trimestrale. Flusso di pagamenti periodico che diviene anche un fattore psicologico in grado di influenzare le scelte di chi ama vedere accreditati i dividendi sul proprio conto corrente, anche quanto si ha a che fare con piccole somme. Gli Etf ad accumulo, di contro, si dimostrano particolarmente adatti a chi desidera costruirsi un capitale nel medio lungo termine, ad esempio attraverso un Pac (piano di accumulo del capitale), e non ritiene primario avere un ritorno nell’immediato dell’investimento attraverso stacchi cedola. Negli ultimi anni si è assistito a un progressivo aumento dei prodotti a capitalizzazione dei dividendi proposti dai vari emittenti.
Diversificazione su più livelli
Un tassello importante nella scelta del prodotto è valutarne la capacità di offrire un’adeguata diversificazione. Gli investitori tendono spesso a tenere le uova nello stesso paniere, mentre per ridurre il rischio complessivo del proprio portafoglio è essenziale diversificare al meglio l’allocazione. Investire in un’ampia gamma di attività riduce la probabilità di perdere denaro se una singola attività o asset class performa male.
Gli Etf prima di tutto permettono di ottenere in modo semplice una diversificazione istantanea. Con un singolo investimento si accede infatti a un’ampia gamma di attività. Ad esempio acquistando un Etf sull’S&P 500 si ha un’esposizione su 500 delle più grandi società quotate negli Stati Uniti.
Con gli Etf oggi è inoltre possibile posizionarsi su tutte le principali asset class. Utilizzandoli come mattoncini l’investitore può andare a migliorare il profilo di rischio-rendimento di un portafoglio diversificato andando a esporsi su asset decorrelati tra loro e allo stesso tempo abbassare i costi dell’investimento rispetto all’utilizzo di fondi attivi.
La diversificazione può essere perseguita non solo per asset class, ma anche a livello geografico, settoriale e per stile d’investimento (value, growth, momentum).
La trasparenza degli Etf permette anche di conoscere ogni giorno la composizione dell’indice sottostante e il peso che ogni singolo titolo ha all’interno dell’indice. L’investitore può quindi accedere alla composizione dei vari indici sottostanti e monitorare in prima persona quanto sono diversificati al loro interno guardando ad esempio il peso dei 10 titoli più importanti ricompresi nel paniere: più alta risulta l’incidenza di questi primi 10 titoli più la performance dell’indice è dipendente da quella dei sui principali componenti.
Alcuni Etf presentano un tetto (cap) oltre il quale un singolo titolo o la somma dei primi 5/10 titoli non può andare. Discorso analogo può essere fatto per la composizione settoriale o geografica, andando a vedere quanto un Etf è diversificato in relazione a questi parametri. Infine, ci sono anche gli Etf equalweight che prevedono una ponderazione uguale per ogni titolo presente nell’indice a prescindere dalla loro market cap (nel caso di 100 titoli presenti nell’indice, ogni titolo peserà per l’1%).
Nell’ottica di costruire un portafoglio ben bilanciato, l’investitore deve tenere bene a mente alcune possibili criticità, ossia l’utilizzo di Etf che abbiano al loro interno medesimi titoli o un’eccessiva esposizione su determinati settori o aree geografiche. Ad esempio, un portafoglio contenente sia un Etf sul Nasdaq che uno sull’intelligenza artificiale comporta una doppia esposizione su medesimi titoli quali Nvidia o comunque una pronunciata dipendenza dal settore tecnologico.
Allo stesso tempo va considerato che gli Etf denominati in valute diverse dall’euro espongono l’investitore domestico ai rischi legati alle fluttuazioni valutarie; per ovviare a ciò c’è anche la possibilità di posizionarsi su Etf a copertura valutaria che vanno ad annullare la variabile rappresentata dal movimento dell’euro contro le valute in cui sono denominati i titoli compresi nell’indice sottostante.
In definitiva, la scelta dei prodotti a cui affidarsi dipende da diversi fattori e la trasparenza e semplicità degli Etf aiuta ad avere una chiara evidenza di costi, composizione e grado di diversificazione dell’investimento che si sta attuando.