Nella giungla delle mode finanziarie, distinguere i trend passeggeri dai veri cambiamenti strutturali non è semplice. Tra questi ultimi, la deglobalizzazione appare sempre più come una nuova normalità destinata a plasmare il futuro. Per l’Europa significa maggiore autonomia strategica, anche in ambito militare; a livello globale, alimenta un clima di incertezza che ha spinto l’oro verso nuovi record, oltre i 3.500 dollari l’oncia. Annacarla Dellepiane, Head of Southern Europe di HANetf, ha condiviso con We Wealth la sua visione su due megatrend che hanno attratto l’interesse crescente degli investitori retail: difesa e oro. Temi che, per chi si è mosso per tempo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, hanno già dato soddisfazioni concrete.
Il rischio degli approcci settoriali all’investimento è quello di cavalcare mode effimere, mentre altri fattori diventano veri e propri megatrend strutturali. Dal vostro punto di vista, come riuscite a individuare i trend giusti da proporre sul mercato?
È molto importante individuare questi trend, i cosiddetti megatrend strutturali di lungo periodo, rispetto alle mode passeggere. Per farlo è necessario disporre di un team di analisti specializzati, che analizzano i mercati e comprendono cosa sta realmente accadendo nel contesto geopolitico globale. L’obiettivo è individuare quei megatrend destinati a cambiare radicalmente, nei prossimi 5-10 anni, il modo in cui viviamo, lavoriamo, ci relazioniamo e l’assetto macroeconomico dei Paesi. Poi, nella costruzione specifica dell’Etf, utilizziamo filtri molto selettivi: cerchiamo aziende che generano una quota significativa dei loro ricavi dal megatrend individuato. È fondamentale puntare su tendenze solide e durature, che impatteranno profondamente le nostre vite.
Fra i vostri fondi exchange-traded uno dei più rilevanti è quello sull’oro. Oggi il contesto è quello di un dollaro che si indebolisce, di una perdita di prestigio dei Treasury a livello internazionale in seguito alle politiche protezionistiche americane. Questo potrebbe segnare un cambio di paradigma nei confronti dell’oro, da sempre bene rifugio nei tempi incerti, ma oggi forse più che mai. Voi cosa ne pensate?
Siamo assolutamente d’accordo. L’oro è da sempre un investimento chiave, considerato un asset sicuro, un porto rifugio a cui gli investitori ricorrono nei momenti di incertezza. Oggi viviamo un periodo di fortissime incertezze: la principale potenza mondiale non trasmette stabilità, i mercati sono molto volatili, e il contesto geopolitico è estremamente insicuro.
Molti investitori stanno tornando all’oro. In particolare, noi abbiamo lanciato un ETC in collaborazione con la Zecca di Stato del Regno Unito, The Royal Mint, un’istituzione con 1.100 anni di storia nell’oro, lingotti e monete. Il nostro ETC consente anche il riscatto fisico in sterline o in lingotti d’oro. Questo offre non solo un’esposizione finanziaria, ma anche una garanzia psicologica importante.
È un dettaglio interessante: non so quanti investitori esercitino effettivamente il diritto al riscatto fisico, ma l’idea che il prodotto sia convertibile in oro reale fa la differenza?
Sì, fa la differenza. C’è un aspetto psicologico molto forte. In un contesto in cui a volte manca fiducia nei mercati o nelle istituzioni finanziarie, sapere che si lavora con una Zecca di Stato e non con una banca d’investimento tradizionale offre un tipo di fiducia diverso. Inoltre, la possibilità di riscattare l’investimento in oro fisico rappresenta una garanzia di solidità.
Quindi, in termini tecnici, potremmo dire che è un investimento con rischio di controparte molto basso?
Esatto. Tutto è possibile, ma la probabilità che fallisca una Zecca di Stato che opera da oltre mille anni… diciamo che è molto bassa. Dettagli che fanno la differenza, specie se si investe nell’oro con un’ottica di protezione estrema.
È molto chiaro. A livello di attualità, come vede il peggioramento delle relazioni commerciali internazionali? I Treasury aumentano nei rendimenti, ma non si esclude che anche l’oro possa continuare a salire, un’anomalia rispetto alle vecchie correlazioni.
In un periodo di grande incertezza, saltano molte delle correlazioni a cui eravamo abituati. I Treasury non sono più il bene rifugio di una volta, e anche quando le tensioni si allentano, la fiducia è stata comunque incrinata. Sappiamo inoltre che la Cina, uno dei maggiori detentori di Treasury, potrebbe – almeno in teoria – liberarsene. Questo crea ulteriore incertezza. L’oro, invece, è libero da questi schemi geopolitici.
Parlando di Cina, da un lato potrebbe vendere Treasury americani, dall’altro sta comprando oro in grandi quantità. Questo rafforza il caso a favore dell’investimento in oro, anche se qualcuno oggi comincia a prendere profitto. Voi che idea avete?
Siamo molto ottimisti. È vero che sono stati toccati dei massimi, ma anche l’anno scorso si diceva la stessa cosa, eppure i prezzi sono saliti ancora. Il problema è il contesto: molte alternative all’oro si stanno rivelando meno sicure. Non facciamo previsioni di prezzo, ma vediamo un forte supporto sia da parte delle banche centrali – la Cina in primis – sia da parte degli investitori. Siamo fiduciosi nel potenziale dell’oro anche per il futuro.
Passando a un altro tema politico caldo: il disimpegno americano verso l’Europa e il conseguente cambio di strategia dell’Unione Europea, per la difesa. Questo scenario rappresenta anche un’opportunità d’investimento?
Assolutamente. I Paesi membri della Nato hanno da sempre l’obiettivo di destinare il 2% del PIL alla difesa, ma questo obiettivo non è mai stato realmente rispettato. Con la guerra in Ucraina si è alzata la pressione, e l’arrivo di Trump ha accentuato ulteriormente la situazione. Trump vuole alzare l’obiettivo al 5%, che è enorme. L’Italia fatica a raggiungere anche solo il 2%, e non è l’unica: anche Germania, Spagna e Francia sono sotto quella soglia. L’Europa ha capito che non può più dipendere dagli Stati Uniti: deve cominciare a pensare a se stessa. Questo cambio di mentalità è anche un’opportunità, sia politica che d’investimento. A marzo è stato approvato il piano di Ursula von der Leyen che prevede 800 miliardi di euro per la difesa europea. Una svolta significativa, che seguiremo attentamente.