I fondi che investono nel pallone

Rita Annunziata
23.10.2020
Tempo di lettura: 3'
I più grandi fondi di private equity hanno investito nello sport oltre 13 miliardi di dollari. Da dove nasce questo interesse e quali sono, oggi, i vantaggi per le imprese del settore? Ne parliamo con Vincenzo Cagnetta, analista e consulente finanziario autonomo di Studio Enca

Vincenzo Cagnetta: “Da questa situazione di grave crisi sono sorte anche delle opportunità, perché gli asset svalutati sono diventati più appetibili per degli investitori che già in passato hanno mostrato interesse per questo particolare settore”

Secondo l'esperto, il coinvolgimento dei fondi di private equity è legato anche al fatto che le società sportive permettono di avere flussi di cassa stabili nel tempo

Dopo soli dieci giorni dal via libera della Lega Serie A alla trattativa in esclusiva con la cordata composta da Cvc Capital Partners, Advent International e Fsi per l'ingresso nella media company che gestirà i diritti televisivi della massima serie, per i maggiori fondi di private equity globali scocca l'ora dei conti. Secondo un'analisi di Studio Enca realizzata per Il Sole 24 Ore, nell'universo sportivo a livello mondiale sono stati investiti 13 miliardi di dollari, su un patrimonio complessivo di oltre 1.000 miliardi. Ma da dove nasce questo interesse e quali sono, oggi, i vantaggi per le imprese del settore? Ne abbiamo parlato con Vincenzo Cagnetta, analista e consulente finanziario autonomo di Studio Enca.

Da dove nasce l'interesse dei fondi di private equity per il mondo dello sport?


“Sicuramente dal fatto che il coronavirus, la conseguente chiusura delle attività e le limitazioni imposte alle attività sportive, hanno condotto le società del settore a registrare un crollo dei ricavi. Se il mercato azionario nel suo complesso ha subito un calo delle quotazioni per poi recuperare, nel mondo dello sport è stato ancora più accentuato. Da questa situazione di grave crisi, tuttavia, sono sorte anche delle opportunità perché gli asset svalutati sono diventati più appetibili per degli investitori che già in passato hanno mostrato interesse per questo particolare settore. Penso al caso di Cvc Capital Partners, che ha maturato una grande esperienza nel mondo sportivo, prima con la Formula 1 e poi con il rugby, cui si sono aggiunti altri operatori come Advent International e Fsi”.

Quali sono i vantaggi per le imprese del settore?


“I private equity hanno la capacità di renderle più efficienti. Inoltre, possono ottenere credito a condizioni più vantaggiose e, soprattutto, riportano un allineamento di interessi tra il management e la proprietà, chi mette a disposizione il capitale di rischio, perché in molte operazioni il management ha quote considerevoli nel capitale della società. Per di più, nei board sono presenti spesso dei senior executive che hanno già lavorato nel mondo dello sport, in grado dunque di apportare esperienze di altissimo valore ma anche contatti importanti per la crescita delle società target”.

Lo sport come asset class. Quali differenze da una parte all'altra dell'Oceano?


“Il settore dello sport, escludendo l'area dei paesi anglofoni, ha un potenziale inespresso. Negli Stati Uniti, ad esempio, viene considerato un business, ma anche in Italia si sta arrivando a percepirlo come un'asset class come le altre, basti pensare alla questione dei diritti tv, al merchandising, alla possibilità di costruire attorno alla società sportiva una serie di attività correlate che consentono di avere delle entrate. L'interesse dei fondi di private equity per il mondo dello sport è dunque legato anche al fatto che le società sportive permettono di avere cashflow stabili nel tempo. Avere una certa stabilità di cashflow consente di pagare gli interessi, un aspetto importante se si considera che i private equity ricorrono in modo particolare alla leva del debito”.

Come si comportano, invece, i piccoli risparmiatori?


“I piccoli risparmiatori possono accedere ai mercati regolamentati, acquistando azioni o obbligazioni delle società sportive, ma bisogna tener conto che si tratta di un settore più volatile rispetto a classici come healthcare e utility. Quindi è sempre raccomandabile investire massimo l'1% del proprio patrimonio mobiliare in questo settore”.
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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