Il 2 dicembre scorso è stato approvato all’unanimità l’Holding Foreign Companies Accountable Act, il quale prevede il delisting delle società cinesi in caso esse non siano conformi alle norme audit della Sec
Secondo Filippo Diodovich, senior strategist di Ig, si arriverà a un compromesso: “é poco probabile uno scenario di delisting di massa delle aziende cinesi, perché ciò comporterebbe un forte deflusso di capitali da New York verso le borse asiatiche”
Lo scontro è politico
Da Alibaba a China Telecom, nessuno si salverebbe. La questione, secondo il Financial Times, è spinosa per due motivi, entrambi di natura politica: da una parte Pechino attualmente vieta che società cinesi presentino i loro conti a istituti di sorveglianza esteri. Dall’altra le società quotate cinesi sui listini americani dovrebbero dimostrare di non essere controllate da un governo straniero. Nel mentre le dichiarazioni di approvazione al disegno di legge si sono succedute sia dalla Sec, con termini più pacati, che dall’Asa, in toni più accesi. Jay Clayton, presidente della Sec, ha dichiarato “Sono lieto che il Congresso abbia agito con un forte sostegno bipartisan per livellare il campo di gioco per tutti gli emittenti nei nostri mercati”. Chris Iacovella ha invece esclamato: “per troppo tempo, il partito comunista cinese ha sfruttato gli investitori americani per finanziare il suo esercito informatico, l’eliminazione delle libertà civili guidata dalla tecnologia, i suoi abusi dei diritti umani e la sua distruzione dell’ambiente”.
Il delisting di massa non giova a nessuno
Al netto delle parole e della politica spesso prevale il buon senso, o il mero tornaconto, dell’economia. E alla fine si troverà un accordo. È come la pensa Filippo Diodovich, senior strategist di IG, “A nostro avviso riteniamo poco probabile uno scenario di delisting di massa delle aziende cinesi, perché ciò comporterebbe un forte deflusso di capitali da New York verso le borse asiatiche di Hong Kong e di Singapore. Per gli investitori istituzionali il delisting avrebbe conseguenze molto lievi, discorso diverso per gli investitori retail, con la questione che diventerebbe molto più complicata. Crediamo comunque che Sec e aziende cinesi possano trovare un accordo in futuro per renderle conformi alle regole contabili statunitensi”
Prove di delisting: via dalle società “militari”
Tuttavia qualcosa si è già mosso e i primi delisting sono prossimi a concretizzarsi. Il 5 gennaio sette società cinesi saranno eliminate dagli indici emergenti MSCI, in quanto etichettate dal governo come aventi legami con l’esercito cinese. Tra queste società compaiono Smic, il più grande produttore di chip in Cina, China Raillway Construction Corporation, Hiviskon, operante nel settore delle videocamere di sorrveglianza e Spacesat, costruttrice di satelliti. L’impatto potrebbe essere significativo dato che, secondo MSCI, più di 12 mila miliardi di dollari vengono investiti in fondi confrontati con uno delle migliaia di indici della società. La decisione avviene a seguito del divieto voluto da Trump di investire in società che il Pentagono pensa essere collegate all’esercito cinese.