Tesla nel 2020 ha restituito performance finanziarie nell’ordine del 700% diventando la quinta società più grande negli Stati Uniti per capitalizzazione
La bolla delle biciclette britanniche del 1890 somiglia per molti tratti a quanto si sta assistendo per le auto elettriche. Gli investitori persero il 79%, ma l’economia non subì danni
Un aumento dei tassi da parte delle banche centrali, rapporti di indebitamento sempre peggiori ed infine una crisi di fiducia indotta dai media comporterebbe una bolla seguita anche da crisi reale
Se Tesla “scoppia” nessun rischio per l’economia
I pericoli economici di una bolla finanziaria generalmente sono il riflesso di un eccessivo indebitamento di investitori e imprese, che fiduciosi del trend rialzista, assumono posizioni in debito sui mercati finanziari. Quando ciò avviene e scoppia la bolla i primi devono tagliare le proprie spese, le seconde dichiarare bancarotta o comunque tagliare personale e investimenti. E il rischio per l’economia in quest’ultimo caso sarebbe tanto maggiore quanto la società in questione fosse un player di considerevoli dimensioni. Come, ad esempio, Tesla, divenuta la quinta società più grande degli Stati Uniti per capitalizzazione di mercato. Tuttavia secondo il Wall Street Journal anche se il principale produttore di auto elettriche al mondo sparisse domani non si verificherebbero effetti rilevanti per l’economia. Per due motivi. Le operazioni e il fatturo di Tesla sono relativamente contenuti e per lo più è una società finanziata con equity e dunque il rischio di innescare un domino di fallimenti bancari è altrettanto esiguo.
La bolla delle biciclette
Il parallelo più vicino non è la bolla delle dot-com, nonostante molte somiglianze, ma la mania delle biciclette britanniche del 1890. Le biciclette erano le auto elettriche dei quei tempi: le scoperte nella tecnologia degli pneumatici e degli ingranaggi le avevano rese un trasporto conveniente ed ecologico. Gli investitori, rassicurati da quello che all’epoca era il rendimento più basso mai registrato sui titoli di stato del Regno Unito, si precipitarono su queste società veicolando un’innovazione sempre più spinta: al culmine della bolla i brevetti relativi alle biciclette rappresentavano il 15% di tutti i brevetti rilasciati. Nel loro libro “Boom and Bust”, gli accademici William Quinn e John Turner della Queen’s University, Belfast, documentano che solo nel 1896 furono fondate 671 nuove aziende di biciclette, per una raccolta di capitale pari a 27 milioni, l’1,6% del pil britannico di quell’anno. In confronto, la raccolta delle SPAC quest’anno ha raccolto circa lo 0,4% del pil degli Stati Uniti. Di quel numero a fine decennio era sopravvissuto appena la metà, con gli investitori che persero il 71% del loro investimento come la bolla si consumò. Tuttavia, l’economia, come il resto del mercato, ne risentì a malapena.
Big Tech a rischio bolla?
E se gli eccessi di oggi non fossero solo nelle azioni speculative come Tesla, ma in tutto il mercato? Secondo l’autore dell’articolo le società come le Big Tech, tra cui Apple, Amazon, Microsoft e Facebook, hanno valutazioni elevate ma che possono essere ampiamente giustificate dal livello molto basso dei tassi del Tesoro. Inoltre, queste società non prendono in prestito o emettono nuove azioni per finanziare investimenti e i loro investitori non sono tutti a leva. Se il prezzo delle azioni di Apple si dimezzasse, non farebbe differenza per l’attività sottostante, a differenza di quanto successo per le dot-com a inizio millennio. Infine, solo le bolle finanziate dalle banche sono quelli veramente distruttivi. Il Black Monday del 1987 è un classico esempio: straziante per gli azionisti, ma irrilevante per l’economia.
I rischi per una propagazione reale
Tuttavia, ci sono alcuni rischi che possono invalidare quest’analisi. Il primo è che la Fed ha le mani legate: non ha margine per tagliare ulteriormente i tassi qualora ce ne fosse bisogno e al contrario un ritorno dell’inflazione implicherebbe un aumento dei tassi con conseguente riduzione del premio per il rischio pagato dalle azioni. Inoltre, i livelli di indebitamento, sulla scia dei tassi più bassi, sono considerevolmente aumentati sia per le piccole imprese, per sopravvivere alla pandemia, che per le grandi, in cerca di prestiti per i piani di buyback. Infine, sebbene nel mondo ci siano molti più non investitori che investitori, i canali mediatici farebbero diventare la crisi finanziaria una crisi di fiducia, per cui anche le persone non colpite consumerebbero di meno, con relative ripercussioni sull’economia.