Hong Kong, Cina: la frontiera scomparsa della finanza?

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La famigerata normativa sulla “sicurezza nazionale” della Cina nei confronti di Hong Kong non è ancora legge. La strada però appare irrimediabilmente segnata. La finanza per il momento è attendista e guarda ad alternative regionali più stabili. E allora, per il “porto profumato” è davvero finita? Se ne è parlato in un webinar Ispi

Hong Kong ha sempre rappresentato per la finanza internazionale un punto d’approdo stabile in Asia. Ancora di più dal 1997 in poi, anno in cui l’ex città-Stato è ritornata dal dominio coloniale britannico a quello cinese, in virtù del modello “un Paese, due sistemi”. In base a tale sistema, il regime cinese si era impegnato a mantenere intatto il sistema capitalistico e lo stile di vita del territorio immutati per 50 anni. Quindi fino al 2047. Ora, sotto il pugno di ferro di Xi Jinping, quella data futura sembra diventata presente.
In generale, quello che gli investitori internazionali cercano è un contesto normativo stabile, prevedibile. Qualità che adesso Hong Kong non ha più. Per questo motivo, gli operatori della finanza e più in generale gli attori economici sono in fase di “attesa e diversificazione”. Vale a dire, stanno facendo un “tentativo di proteggersi da ciò che ancora non si conosce”. L’osservazione giunge dal webinar dell’Ispi “Pechino e Hong Kong: ultimo round?”, tenuto da Alessia Amighini (Ispi, condirettrice dell’Asia Centre e ricercatrice associata senior, Università del Piemonte orientale), Ilaria Maria Sala (giornalista) e Flora Sapio (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”). Un esempio in tal senso è quello di Nomura, che abbandonerà alcuni – ma non tutti – dei suoi uffici nella città portuale.

Hong Kong, le alternative fuori dalla Cina

Ilaria Maria Sala osserva che le alternative immediate alla declinante attrattività di Hong Kong sono Tokyo, Singapore, Taiwan. Quest’ultima in particolare è una democrazia estremamente dinamica, con un sistema giudiziario molto stabile, ad elevata prevedibilità. Ma soffre di un tremendo isolamento internazionale, dovuto al suo non riconoscimento da parte della Cina continentale. Ciò purtroppo la rende una piazza non paragonabile alla “vecchia” Hong Kong. Chi ha delle attività finanziarie sembra quindi spostarsi in parte a Tokyo, in parte a Singapore. Il mercato dell’arte invece potrebbe spostarsi secondo l’esperta verso Taiwan. Una delle lezioni della pandemia infatti è che “c’è meno bisogno di un luogo fisico, in alcuni casi”. Per cui molte delle vendite delle case d’asta internazionali potranno continuare ad essere fatte online nell’attesa che si sappia qualcosa di più del nuovo regime politico dell’ex colonia britannica.

La Greater Bay Area

Con l’atto di forza di Xi Jinping, il ruolo di Hong Kong come polo internazionale libero dall’ingerenza cinese viene meno. E con esso, si indebolisce la sua posizione relativa nella “Great Bay Area” (Gba). La Gba del Guangdong-Hong Kong-Macao è la megalopoli del delta del fiume Perla. Si compone di nove città e due regioni amministrative speciali (Sar, una delle quali è appunto Hong Kong). Nelle ambizioni cinesi, si tratta della Silicon Valley del Paese di Mezzo, la fucina tech-digitale con cui il Dragone un giorno mangerà l’aquila americana. Secondo Ilaria Maria Sala però, la mossa del governo centrale ora schiaccia il polo di Hong Kong nelle sue specificità. E dimostrerebbe che Pechino è meno interessata in questo momento ad investire nella Gba, così come nella Belt and Road Initiative, la nuova via della seta.

La “coerenza” della politica in Cina e il “ritardo” di Hong Kong

Secondo Flora Sapio però, “bisogna ragionare in termini di coerenza. C’è un tentativo, da parte di Pechino, di attuare una policy che sia coerente”. La studiosa fa riferimento alla IV sessione plenaria del 19esimo congresso del Partito comunista cinese, conclusasi il 31 ottobre 2019 e dalla quale era emersa la necessità di “perfezionare l’introduzione di un quadro normativo posto a tutela della sicurezza dello Stato”. Le motivazioni ufficiali erano due. La prima adduceva come motivo l’esistenza del movimento di protesta di Hong Kong, perdurante – fra pause e riprese – dagli ultimi mesi del 2014. La seconda motivazione citava invece la mancanza o il ritardo nell’attuazione dei meccanismi previsti dall’articolo 23 della legge base di Hong Kong.

Che cos’è l’articolo 23 della legge base di Hong Kong

In base a questa norma, la regione amministrativa speciale  si sarebbe dovuta dotare in autonomia di una legge volta a proteggere l’unità della nazione cinese.

L’articolo 23 prevedeva che la città-Stato facesse da sé una serie di leggi contro la secessione, la sedizione, il tradimento, ecc. Storicamente però, si tratta di un articolo molto compromesso. Pechino lo introdusse dopo il 1989, senza tener conto che la legislazione della città aveva (e ha) già leggi contro il terrorismo e la sovversione. La sua funzione era quindi quella di essere un avvertimento, ancor prima di essere un esercizio legislativo. Al momento comunque, l’iniziativa cinese non ha ancora concluso il suo iter legislativo. Quindi, “per quanto ci è dato sapere, la legge non esiste ancora”, specificano le esperte.

La mossa di Pechino è avvenuta in maniera non conforme alla procedura di Hong Kong. L’assemblea nazionale (il parlamento cinese) può infatti legiferare in luogo dell’ex città-Stato solo se questa non è in grado di legiferare da sé. L’urgenza attuale rientra nella personalità politica di Xi.

L’autoritarismo di Xi Jinping

In Cina, la personalità di chi è in carica conta parecchio, proseguono le analiste. Non che Deng Xiaoping o Hu Jintao fossero democratici, ma Xi Jinping (Pechino, 15 giugno 1953) ha rappresentato un forte cambiamento sulla scena politica. Non solamente per Hong Kong, ma per la Cina stessa. “Ciò che vediamo a Hong Kong è solo il riflesso di ciò che sta succedendo all’interno della Cina. È difficile pensare che le proteste siano responsabili di questa mossa da parte del governo centrale. Le proteste sono iniziate nel momento in cui a Hong Kong venivano imposte una serie di regole aliene alla cultura politica dell’ex colonia. Queste imposizioni culturali arrivano da un leader che si è esteso a vita il mandato. Le manifestazioni non sono una causa della repressione, è la repressione ad essere causa delle manifestazioni“, prosegue Ilaria Sala.

“Questa è la Cina di un leader senza termine di mandato, il quale accetta di avere un’ombra nerissima su tutto il Tibet, di avere avvocati e giornalisti imprigionati, di avere un milione di persone nei campi di lavoro. Anche se Hong Kong si fosse comportata ‘bene’, non è che il suffragio universale sarebbe stato concesso. Il suffragio universale è alieno a Xi Jinping”.

Una voce governativa per tranquillizzare gli investitori internazionali

Zhang Xiaoming, vicedirettore dell’ufficio del governo cinese per gli Affari di Hong Kong e Macao, afferma che “il problema principale di Hong Kong non sia un problema economico”. ha affermato che il recente caos deriva principalmente dalle “profonde differenze” sul futuro del territorio. La Cina vuole garantire una Hong Kong prospera e stabile, mentre i gruppi di opposizione e le forze straniere vogliono trasformare la città in “un presidio per l’opposizione alla Cina e al partito comunista”, ha dichiarato Zhang.

Il funzionario ha poi aggiunto che Hong Kong deve dimostrare la sua lealtà a Pechino se spera in un’estensione della semi-autonomia oltre il periodo di 50 anni previsto dalla “Legge fondamentale”.

La Borsa chiude bene

Intanto, La Borsa di Hong Kong termina ha terminato le contrattazioni sulla parità, dopo cinque giorni consecutivi di guadagni. L’indice Hang Seng ha archiviato la seduta in rialzo di 6,36 punti a 24.776,77.

Bene i titoli del settore petrolifero, sulla scia del rimbalzo dei prezzi del greggio per i tagli della produzione. Male invece gran parte delle società produttrici di beni di consumo con Hengan International che ha perso il 3,4% e il produttore di snack Want Want China che è scesa del 2,2%. Wuling Motors infine ha registrato una contrazione del 21% dopo che Pechino ha ritirato il proprio supporto al commercio ambulante nel weekend, sostenendo che “le città di alto profilo non dovrebbero incoraggiarlo“. L’alto profilo però forse non include le libertà civili.

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