Certamente
il tema delle case
green è
molto complesso e urgente. Il periodo 2011-2020 è stato il decennio
più caldo mai registrato, con una temperatura media globale di 1,1ºC
al di sopra dei livelli preindustriali nel 2019. Il riscaldamento
globale indotto dalle attività umane è attualmente in aumento a un
ritmo di 0,2ºC per decennio.
Un
aumento di 2ºC rispetto alla temperatura dell’epoca preindustriale
determina un rischio molto più elevato di cambiamenti pericolosi e
potenzialmente catastrofici nell’ambiente globale. Per questo motivo
la comunità internazionale ha riconosciuto la necessità di
mantenere il riscaldamento ben al di sotto dei 2ºC e di proseguire
gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC.
L’industria
immobiliare,
secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, è tra quelle
maggiormente responsabili arrivando nel 2020 a
causare il 35% delle emissioni
in Europa tra combustibili fossili, elettricità e riscaldamento.
L’Unione
europea con la Direttiva sul rendimento energetico appena
approvata dal Parlamento europeo si è posta obiettivi assai sfidanti
e forse troppo ambiziosi. Tutti i nuovi edifici costruiti dal 2028
dovranno essere a emissioni zero e, già dal 2026, lo dovranno
essere i nuovi edifici utilizzati o gestiti dal pubblico e quelli di
proprietà di enti pubblici. Entro il 1° gennaio 2030 tutti gli
immobili residenziali dovranno raggiungere la classe energetica E ed
entro il 2033 la classe D, per arrivare a zero emissioni nel 2050. La
norma ha l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra
provenienti dal settore immobiliare.
Gli effetti della direttiva Ue sui patrimoni degli italiani
Ma
la cura è quella giusta o potrebbe arrivare ad uccidere il paziente?
Innanzitutto, pare davvero irragionevole – sotto l’egida
integralista della lotta al cambiamento climatico – prevedere una
normativa omogenea e di questa portata per tutti gli immobili dal
nord della Finlandia a Pantelleria, dal Portogallo alla Polonia. Per
arrivare agli obiettivi di classe energetica “E” entro il
2030, “D” entro il 2033 e le zero emissioni del settore
edilizio entro e non oltre il 2050 occorrerebbe intervenire con
costosissime (e spesso irrealistiche, considerato l’immobile in
questione e la sua collocazione) opere
di ristrutturazione
radicale su più fronti: interventi di coibentazione delle facciate,
isolamento termico, rifacimento degli infissi, ammodernamento delle
caldaie e installazione progressiva di impianti solari. Come sarebbe
possibile realizzare tutto ciò in Italia, dove buona parte del
patrimonio immobiliare risale, nella migliore delle ipotesi, alla
ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, in tessuti urbani
densamente edificati, dove appare inimmaginabile ad esempio
l’installazione di impianti fotovoltaici o di “cappotti” alle
facciate?
E
chi sopporterà i costi di questo enorme intervento, visto che già
il rialzo dei tassi determinerà tensione sui finanziamenti
immobiliari e molti
potenziali default?
Peraltro, nessuno pare aver considerato che la scarsità di materie
prime e l’inflazione galoppante hanno già messo in scacco mercati
come quelli della produzione e posa degli infissi, che, al contrario,
con questa normativa sarebbero enormemente sotto pressione.
Il rischio (reale) del deprezzamento degli immobili poco efficienti
Il
mercato immobiliare potrebbe davvero subire un colpo durissimo,
poiché alcuni immobili potrebbero non solo deprezzarsi, ma
addirittura, di fatto, essere esclusi dalla domanda poiché ritenuti
sostanzialmente “irrecuperabili”. Il sistema bancario, che ha
concesso mutui a lunghissimo termine sulla base di valori che
potrebbero essere radicalmente rivisti, potrebbe poi determinare una
nuova crisi finanziaria profonda.
Il
Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto
Pichetto Fratin
ha ricordato che in Italia abbiamo circa 31 milioni di immobili e di
questi oltre 20 milioni dovrebbero essere adeguati alla direttiva
sulle case green.
I prossimi passi da compiere
Che
cosa implica davvero l’approvazione da parte del Parlamento europeo
di questa direttiva? Questa volta bisogna proprio sperare nelle
inefficienze del sistema.
Ogni
Stato membro, infatti, potrà stabilire un piano nazionale
di ristrutturazione adattandolo alle esigenze del singolo paese.
Siamo dunque ancora lontani dal testo definitivo e molte sono le
possibilità di deroga per i singoli paesi.
La
direttiva indica anche specifiche eccezioni
per gli edifici di pregio artistico, storico, di culto, le seconde
case e quelle con una superficie inferiore ai 50 metri quadrati,
inoltre, gli Stati potranno chiedere alla Commissione europea di
valutare deroghe che tengano conto delle particolarità del
patrimonio immobiliare di ciascun Paese (monumenti, edifici di
particolare valore architettonico o storico, edilizia pubblica o
sociale ecc.), di problemi tecnici, della mancanza dei materiali o
dei costi eccessivi per i lavori. Infatti, sarà consentito, in
presenza di particolari requisiti, di adeguare i nuovi obiettivi in
funzione della fattibilità economica e tecnica delle
ristrutturazioni e della disponibilità di manodopera qualificata.
Classificazioni energiche: requisiti diversi da Stato a Stato
Per
comprendere poi il reale impatto di questa disposizione è necessario
sapere che, ad oggi, ogni Stato membro ha una sua particolare
classificazione energetica diversa da quella degli altri Stati,
di conseguenza, i requisiti per raggiungere la classe D in Italia
sono diversi da quelli necessari a raggiungere la stessa classe in
Grecia o in Olanda.
La
direttiva pone l’obiettivo dell’unificazione delle
classificazioni nei diversi Paesi europei. Ciò significa che gli
interventi modificativi
richiesti dalla legge potrebbero
avere una portata minore
rispetto a quella ipotizzata ragionando sui parametri di
classificazione adottati attualmente in Italia.
Sarà
dunque sostanzialmente l’Italia a decidere “casa per casa”.
Ricordando
che in Italia circa il 60% degli edifici è oggi in classe F e G, si
capisce quanto sarà impattante per molte famiglie anche solo il
passaggio in classe E. Per
il salto di classe, infatti, occorre ridurre i consumi energetici di
circa il 25%:
riduzione che si ottiene solo con interventi come il cappotto
termico, la sostituzione degli infissi o la sostituzione della
caldaia con una nuova a condensazione.
Il
principio che dovrebbe guidare l’azione di governo è quello che la
spesa per avere edifici più sostenibili non deve gravare solo sulle
tasche dei cittadini, per molti dei quali la casa rappresenta il
risparmio di una vita lavorativa.
Certo
non possiamo immaginare un ripetersi di norme del tutto improvvide e
inique, come quelle sui bonus 110%, che in poco tempo hanno fatto
danni enormi. Ma, sicuramente, bisognerà creare incentivi e forme di
sgravio fiscale eque e ragionevoli, che non vadano a determinare
troppo impatto sul sistema bancario che già sta rivelandosi tanto
fragile. Va da sé che sarà poi il mercato stesso a valorizzare gli
edifici con una migliore performance energetica, ma non possiamo
correre i rischi di minare il patrimonio immobiliare degli italiani.
Non in questo momento storico e non per qualche dogma declinato in
maniera troppo omogenea per risultare corretto.
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