Diritti musicali, il nuovo oro dei fondi d'investimento

Nel deserto dei tassi a zero, il mondo dell'asset management ha "scoperto" i rendimenti dei diritti musicali. Nel solo 2019, lo streaming musicale ha rappresentato il 56% dei 20 miliardi di dollari di fatturato dell'industria.
«I diritti d'autore, e in generale i diritti dell'ingegno, sono veri e propri asset. In particolare il valore dei diritti musicali è subordinato alla vendita dei brani di un determinato catalogo, al numero di cessioni delle licenze, al loro abbinamento editoriale»
Con un catalogo di circa 58.000 canzoni e una raccolta di 1,2 miliardi di sterline, il fondo Hipgnosis (Barry Manilow, The Pretenders, Chic, Fleetwood Mac, Bon Jovi) si appresta a raddoppiare il suo portafoglio
La Universal Music nel 2019 valeva 30 miliardi di euro: nel 2013 SoftBank ne aveva offerti 6,5 per acquisirla
È solo uno degli esempi di come repentinamente si muove il mercato dei diritti musicali oggigiorno. E il mondo dell'asset management – nel deserto dei tassi a zero – non poteva restarvi indifferente. Nel solo 2019, lo streaming musicale ha rappresentato il 56% dei 20 miliardi di dollari di fatturato dell'industria.
Secondo le analisi dello stesso fondo, per ogni sterlina generata dall'industria della musica digitale, 58,5 centesimi vanno all'etichetta e al cantante, 11,5 a case discografiche e autori (se ancora in possesso dei diritti).
La misura del guadagno atteso sta nei prezzi pagati dagli investitori, dalle tre alle quattro volte il valore storico delle canzoni, con punte di quasi 15 volte. Ne sanno qualcosa Bob Dylan e Taylor Swift. La Universal Music (Beatles, Lady Gaga) ha appena acquistato il catalogo di tutte le opere del premio nobel 2016 per un corrispettivo «a nove cifre». Mentre il fondo di private equity Shamrock ha acquistato il catalogo della Swift per 300 milioni di dollari a novembre 2020. Una curiosità: era stato già David Bowie nel 1997 a trattare le sue canzoni come asset finanziario. Ziggy Stardust emise “Bowie bond” garantiti dai diritti futuri della sua musica.
L'ultima parte dell'anno invece sta vedendo il ritorno di brani più leggeri e pop. «La domanda è molto forte per K-pop [pop coreano, ndr], dance pop, Eurovision. Vanno sempre bene i grandi classici, crooner come Frank Sinatra, Michael Bublè». In generale, «le major tendono a incentivare processi creativi che abbiano un risvolto commerciale. I nuovi cataloghi tendono a essere spinti a livello centrale molto più che in passato». Ma, come dimostra il caso della canzone dei Fleetwood Mac, non sono solo le uscite recenti a generare picchi nei pagamenti dei diritti. Anche vecchie canzoni quasi del tutto dimenticate possono tornare in auge grazie a serie tv, video social, pubblicità. Ed è anche alla ricerca di questi tesori nascosti che si muovono i fondi.