Sport vs impresa: analogie e differenze
Innanzitutto occorre partire da una premessa: tra sport e azienda c’è una grande differenza: “Noi sportivi, di solito, abbiamo giocato lo sport che alleniamo, poi smettiamo di giocare e finiamo a fare gli allenatori. Anche se volessimo, non potremmo più scendere in campo per risolvere i problemi. Quindi, quando uno smette di giocare, dal giorno dopo pensa immediatamente a ‘come far fare agli altri qualcosa’. Nel mondo delle aziende, invece, la maggior parte dei manager, tranne i top, giocano e allenano contemporaneamente, devono cioè gestire delle persone ma devono anche produrre. Quindi c’è prima un problema di tempo (il fatto è che non c’è tempo per pensare solo a come gestire le persone), poi c’è la tentazione di dire: perdo più tempo a spiegare quel lavoro agli altri che a farlo io”, commenta Velasco
Allora, come gestire le persone? Come “far fare agli altri” qualcosa?
Altra grande differenza che va a scapito delle aziende e a favore del mondo sportivo, è che nello sport c’è un campionato e quando finisce tutti riniziano con zero punti.
Nel mondo aziendale, invece, non è così. Non si azzera tutto. Se uno ha avuto dei problemi, dei bilanci negativi, un periodo di crisi etc, tutto questo non si annulla, ma continua. “È un campionato senza fine – dichiara Velasco – e quindi è tutto più complicato; anche la parte motivazionale è più complessa perché le sconfitte non si possono dimenticare, sono sempre presenti. Nel mondo delle imprese, quindi, il lavoro di gestione delle persone è ancora più importante perché bisogna creare un’aspettativa positiva, magari proprio dopo che qualcosa non è andata a buon fine”.
Un aspetto che va invece a favore delle aziende è che nello sport le vittorie – così come le sconfitte – sono molto effimere. “La nazionale di calcio ha vinto l’europeo e adesso si deve qualificare per il mondiale, e non è detto che lo faccia (anche se speriamo tutti di sì)”, prosegue Velasco, precisando che nello sport c’è una “situazione del tutto o niente”, mentre nelle imprese, se le cose vanno bene, la vittoria dura di più, anche se certamente le persone non possono addormentarsi.
Altra differenza, molto importante, riguarda il genere.
Nello sport, se si allena una squadra maschile si hanno di fronte solo uomini, se si allena una squadra femminile solo donne. “E questo non è un vantaggio da poco – puntualizza Velasco – perché noi maschi non siamo gli stessi se siamo da soli o con delle donne”. In pratica, negli uomini funziona molto bene la sfida o la provocazione, soprattutto se i giocatori sono forti, perché provocandoli reagiscono; cosa diversa invece per le donne.
Nelle imprese, però, donne e uomini lavorano assieme, allora quale metodo si deve usare?
Velasco non ha una soluzione, ma dice che già il fatto di porsi il problema che ci sono due metodi diversi è un successo.
Cosa deve fare un leader?
Un leader deve uscire da un approccio focalizzato su se stesso e deve far fare agli altri. “Non importa come siamo noi, è importante come arriviamo agli altri – prosegue Velasco – Per essere leader in concreto bisogna saper guidare un gruppo a ottenere dei risultati. Ma per farlo bisogna prima di tutto stabilire qual è l’obiettivo preciso per il gruppo”.
Non sono gli obiettivi del leader, ma gli obiettivi del gruppo che devono guidare il manager.
In poche parole, “chi gioca deve pensare a sé, chi dirige invece deve pensare ai componenti della squadra”.
Per farlo, però, bisogna conoscere nello specifico le cose. Un errore comune è parlare in generale, fare molte esortazioni. Per esempio, dire: “Bisogna migliorare costantemente” è vago. Se si deve correre, si devono fornire indicazioni precise, non si può dire “dovete correre finché non siete stanchi”, perché è facile immaginare che subito dopo pochi minuti di corsa gli atleti si fermino.
“La prima cosa che fa il cervello è risparmiare energia: vale, infatti, la legge del minore sforzo”, puntualizza Velasco. Nelle situazioni dove l’obiettivo non è chiaro e preciso molta gente tende a risparmiare energia perché non sa cosa viene dopo, soprattutto per la paura che dopo venga cambiato l’obiettivo.
OBIETTIVI
Quali caratteristiche deve possedere quindi l’obiettivo?
“Un obiettivo, per essere tale, deve essere sufficientemente ambizioso, per mettere in moto le risorse straordinarie che le persone possiedono, e deve essere anche raggiungibile.
Se è troppo ambizioso si deve correggere il tiro; se invece è troppo facile, allora bisogna alzarlo altrimenti le persone fanno poco sforzo e non possono rendere al massimo. In pratica, l’obiettivo va misurato”, dichiara il coach.
Stabilire un obiettivo però non è facile, si devono conoscere specificatamente e in concreto le cose, il mercato, le circostanze.
L’obiettivo deve essere poi diviso in obiettivi più piccoli nel tempo. Se l’obiettivo è di aumentare del 20% le vendite a fine anno, bisogna indicare, per esempio, cosa si deve fare nei primi tre mesi. Magari, sistemare dei meccanismi che permetteranno di migliorare le vendite. Bisogna mettersi quindi nelle giuste condizioni.
Obiettivi collettivi e individuali
Gli obiettivi non devono essere solo della squadra ma anche individuali. Inoltre, oltre agli obiettivi di rendimento ed efficacia ci sono anche degli obiettivi tecnici. Nello sport è normale ma nel lavoro? Bisogna imparare a migliorare la tecnica e a non aver paura di dire che non si è capace.
Per giocare in squadra ci vuole un metodo. Nello sport, così come nell’ambito lavorativo, bisogna mettere le eccellenze al servizio del team per raggiungere l’obiettivo comune senza annullare però l’individualità del singolo. Inoltre, ci si deve preoccupare dei peggiori non dei migliori, perché a quelli più bravi si arriva di sicuro.
Quando si raggiunge un obiettivo in azienda – come nello sport – ci deve essere sempre un momento di riconoscimento e festeggiamento, per gratificare tutti di aver raggiunto l’obiettivo.
E cosa succede, invece, in caso di fallimento? Spesso, il problema è che non si cercano le cause o i problemi, ma i colpevoli e quando le cose non vanno si accusa e si cambia persona. I problemi però restano perché è l’organizzazione che non funziona bene.
In un gioco di una squadra si deve prevedere l’errore individuale e in caso di errore bisogna avere un piano B. Questo è parte di un obiettivo.
MENTALITÀ VINCENTE
Primo elemento: partire dalla realtà
Per vincere ci vuole una mentalità vincente, ma cosa vuol dire? “Noi allenatori quando veniamo chiamati? – chiede Velasco – Di solito quando la squadra ha perso. E che mentalità troviamo? Di certo, non vincente”
Come si acquisisce allora la mentalità vincente? Ovviamente vincendo, ma qual è il punto di partenza? “Io ho sempre cominciato dal principio della realtà che dice: La realtà è com’è e non come noi vogliamo che sia”, risponde il coach, che suggerisce quindi di capire qual è la situazione iniziale e capire poi cosa si può fare per migliorare. Quindi la prima cosa che va fatta è accettare (che non vuol dire però che va tutto bene) e poi bisogna proporre. E se su una cosa non c’è niente da fare allora è inutile dedicarci del tempo. Bisogna andare oltre, dove si può fare.
Secondo elemento: bisogna essere ottimisti (o un po’ meno pessimisti)
“Io non sono sempre ottimista, ma davanti ai giocatori devo esserlo; quindi quando mi metto la tuta, esco e vado in scena, devo pensare a loro. Un leader deve comportarsi così”, risponde Velasco.
Terzo elemento: la determinazione
La determinazione è un altro elemento fondamentale della mentalità vincente: vuol dire totale dedizione e andare avanti senza vedere i problemi. Per tradurlo nello sport, vuol dire crederci e non mollare.
Quarto elemento: la fiducia
È importante avere fiducia negli altri e trasmetterla, ossia credere che anche giocatori mediocri possono essere fortissimi. Attenzione: questo non significa mentire, ma avere fiducia che questi giocatori possano migliorare.