Ogni rateo di rendita compensa il pregiudizio sofferto dalla vittima nel corrispondente arco di tempo
Sarà sempre in facoltà del giudice provvedere a optare per la liquidazione in forma di rendita vitalizia
Nell’ambito giurisprudenziale c’è un interessante orientamento che da poco si è andato affermando in maniera più decisa, ed ha a che fare con le modalità di liquidazione (ad opera della compagnia di assicurazione) dell’importo quantificato a titolo risarcimento del danno.
La ratio del recente orientamento giurisprudenziale
Come emerge in una recente pronuncia, Cass. civ. n. 31574/2022, qualora il giudice di merito accerti l’esistenza di un danno alla persona di carattere permanente, potrà prevedere la possibilità che la liquidazione del danno avvenga attraverso il meccanismo della rendita vitalizia.
La rendita vitalizia, infatti, costituisce una forma di risarcimento per equivalente, ed è fonte di un rapporto a esecuzione periodica, in cui la durata prevista è componente essenziale dell’utilità alla quale è ordinato il rapporto.
Sul punto, l’art. 2057 c.c. dispone che: quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia.
Ebbene, come hanno avuto modo di osservare numerosi giudici (tra cui quelli della sentenza summenzionata) la funzione di tale previsione è ben evidente, se la si pone in relazione con il carattere permanente del danno: la liquidazione a titolo di rendita vitalizia, infatti, mira a realizzare una tendenziale corrispondenza fra permanenza del danno e permanenza del risarcimento.
Più nel dettaglio, una volta determinato il capitale, tenuto conto della durata media della vita dell’assicurato (non quella presumibile nel singolo caso specifico), una volta detratti gli eventuali acconti versati (che andranno rivalutati e detratti dal capitale stesso posto a base di calcolo della rendita), e una volta convertito tale capitale in rendita, il diritto dell’assicurato a ricevere quest’ultima matura de die in diem (di giorno in giorno), ed ogni rateo di rendita compensa il pregiudizio sofferto dalla vittima nel corrispondente arco di tempo.
Come messo in evidenza dai giudici: l’universo del danno grave alla persona è il terreno d’elezione per un risarcimento in forma di rendita, l’unico che consenta di considerare adeguatamente, sotto molteplici aspetti, tra cui quello dell’effettività della tutela e della giustizia della decisione, l’evoluzione diacronica della malattia (ovvero la sua guarigione, se possibile).
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Quando si configura il diritto a ricevere la liquidazione a titolo di rendita?
L’applicazione dell’art. 2057 c.c. (che recita: quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia) non si configura a titolo di diritto dell’assicurato ma quale facoltà del giudice di procedere in questo senso, tenuto conto delle circostanze.
Ciò comporta che, abbia o non abbia la parte chiesto la liquidazione a titolo di rendita, e quand’anche abbia espressamente dichiarato di rifiutare tale forma di liquidazione, sarà sempre in facoltà del giudice provvedere in tal senso, con giudizio addirittura incensurabile in Cassazione se non per illogicità della motivazione o per errore di diritto, vale a dire, quando, ad esempio, il calcolo della rendita non rispetti la disciplina sul risarcimento del danno di cui all’art. 1223 c.c. (il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta) oppure non si accompagni alle adeguate cautele prescritte dall’art. 2057 c.c.