Nel pieno della rivoluzione industriale il 23 gennaio 1812 un gruppo di artigiani fece irruzione in un laboratorio tessile a Nottingham nel regno Unito. Armati di martelli distrussero telai automatizzati che potevano produrre maglie 100 volte più velocemente dell’uomo. La maggior parte di loro venne arrestata, condannata a morte e impiccata al castello di York. Erano i luddisti (Luddites) un movimento di artigiani tessili altamente qualificati che all’inizio del XIX secolo protestavano contro il crescente utilizzo di macchine accusate di rubar loro il lavoro.
Tuttavia a distanza di anni il copione non è tanto diverso; fatta eccezione che ci troviamo nell’era digitale e, ad essere messa alla gogna, è l’intelligenza artificiale o AI e non i macchinari industriali.
Ma che cosa si intende per intelligenza artificiale? La AI è una tecnologia non uno strumento. È un agente che agisce nell’ambiente in modo autonomo ed in modo tale da dimostrare un apprendimento. I sistemi di AI apprendono dalle loro interazioni con l’ambiente e raffinano e migliorano le loro prestazioni sulla base delle loro esperienze.
Attraverso la AI si compiono azioni che di solito compiamo noi umani, ma se a farlo è una macchina la fa sembrare intelligente. Capire che non è uno strumento è l’elemento fondamentale per capire la AI.
Se vi è capitato di utilizzare ChatGPT, famigerata chat di OpenAI, capite e comprendete bene il potenziale di tale strumento. Alcuni lo vedono come il sostituto di Google, motore di ricerca per eccellenza, ma questa chat e tutta la tecnologia che ci sta dietro, è molto ma molto di più.
Assisteremo ad un cambio epocale, proprio come fu la rivoluzione industriale.
IA, il cambiamento epocale nel mondo del lavoro
Lavori ripetitivi e poco impegnativi verranno gradualmente svolti da computer con l’aiuto della AI sorgeranno circa 133 milioni di nuovi posti di lavoro (dati WEF World Economic Forum) che richiederanno l’intervento di capacità umane per interagire con la AI. Nel prossimo futuro, e già adesso si vede, non avremo un problema di posti di lavoro ma un problema di competenze adeguate dei lavoratori. Competenze sempre più specialistiche saranno richieste per utilizzare al meglio la molteplicità di dati a nostra disposizione.
Sempre il WEF stima che entro il 2025 produrremmo circa 463 exabyte al giorno di dati che corrispondono a circa 200 milioni di DVD al giorno. Come farebbe l’uomo a leggere ed interpretare tutti questi dati?
L’intelligenza Artificiale è il lettore perfetto di questi dati.
Il caso della discriminazione di 200 milioni di americani da parte dell’intelligenza artificiale
Da qui a 10 anni non si farà più niente che non sia integrato con la AI. Si assisterà infatti ad un rapido processo di integrazione dell’AI nella nostra vita quotidiana.
Esistono però dei rischi etici tangibili. Ne sa qualcosa il governo americano che ha fatto uso della AI per elaborare i dati assicurativi per l’accesso alle cure mediche della popolazione. Un’analisi indipendente sull’algoritmo che aiutava l’elaborazione di questi dati ha rilevato che lo stesso discriminava circa 200 milioni di pazienti, gli afroamericani, per i quali è stato ritardato l’accesso alle cure mediche. La cosa interessante è che questi pazienti erano stati discriminati indirettamente.
Tutto era dovuto all’algoritmo che dava priorità all’accesso alle cure mediche alle persone che avevano speso di più negli anni precedenti in cure mediche, assumendo che se uno ha speso molto, avesse una salute più cagionevole pertanto bisognoso di maggiori cure. Poiché la popolazione più povera che accede meno alle cure mediche coincide con gli afroamericani, l’algoritmo ha discriminato tale fascia sociale inconsapevolmente. Questo è un bias dovuto ad una programmazione sbagliata.
L’AI è una tecnologia che si camuffa benissimo nella nostra quotidianità, è un camaleonte digitale. Ed è qui che viene chiamata in causa l’etica. Per entrare in un contesto più filosofico del tema, è necessario dare il giusto peso alla fiducia che viene data alla AI per non incorrere in bias cognitivi, in pregiudizi.
Le macchine non fanno errori?
Tendenzialmente siamo portati a pensare che le macchine non facciano errori. Ci fidiamo della somma di un foglio excel, del calcolo di una calcolatrice e così la mente umana tende a pensare che le domande poste a ChatGPT corrispondano al vero o che, per un medico, l’elaborazione dei dati di una risonanza magnetica che la pondera tra altre migliaia di risonanze uguali, sia la verità assoluta. In tale contesto la fiducia assume una valenza importante: abbiamo bisogno della giusta dose di fiducia che ci permette di sfruttare questa tecnologia. In assenza di fiducia saremmo portati a controllare tutto, con un eccesso di fiducia non controlleremo mai il risultato. La fiducia è l’elemento che serve alla società per far funzionare i sistemi distribuiti, perché ci permette di delegare senza controllare.
Quindi, quando si parla di etica della AI in realtà dobbiamo ponderare sia sfide che rischi derivanti da abusi o usi impropri della stessa.
Il digitale è una forza trasformativa ma sta a noi decidere come farci trasformare da questa tecnologia.
Foto apertura: Axel Ruffini su Unsplash
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