C’era una volta la Germania, sinonimo di falchi e austerità: quella dello storico ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, che per primo tradusse in pratica il principio costituzionale del pareggio di bilancio. Un principio introdotto nel 2009 dal governo Merkel e divenuto esecutivo nel 2014, con l’obiettivo di garantire stabilità e un debito sostenibile per le generazioni future.
Con un voto favorevole di 513 contro 207 parlamentari, il Bundestag, sotto la guida degli stessi cristiano-democratici che lo avevano introdotto, ha decretato la fine del “freno costituzionale” al deficit e posto le condizioni per un piano di espansione fiscale che alimenterà difesa e infrastrutture. Manca solo il voto della camera alta, il Bundesrat, ma per i mercati è ormai cosa fatta: l’indice azionario tedesco ha continuato a salire martedì 18 marzo, consolidando un rialzo (nonostante il calo del 19) vicino al 16% da inizio anno. Questo risultato si accompagna a un recupero dello Stoxx 600, in crescita dell’8,4% nello stesso periodo.
Alla base dell’entusiasmo c’è anche l’immediata applicazione del superamento del freno al debito, con l’autorizzazione del Bundestag a fondi speciali per 500 miliardi di euro di stimoli economici, destinati in particolare alle infrastrutture.
La Germania traina l’ottimismo sulle azioni europee
Il nuovo sondaggio sui gestori di fondi condotto da Bank of America a marzo ha confermato l’entusiasmo per l’azionario dell’Eurozona, che risulta il maggior beneficiario dell’ultima rotazione mensile dei portafogli. Tra i gestori sondati in Europa, il piano di espansione fiscale è citato con una schiacciante maggioranza del 70% come il principale catalizzatore della crescita economica europea, seguito dalla spesa militare (17%).
L’Europa, un tempo vista come il continente restio a spendere quasi per scelta ideologica prima ancora che economica, sembra aver cambiato direzione con decisione. Ma si tratta davvero di una svolta definitiva che archivia per sempre il mito dell’austerità?
“La svolta tedesca è il riflesso del nuovo paradigma globale, non più globalista ma protezionista”, ha commentato a We Wealth l’economista Emiliano Brancaccio (Università Federico II). “In Germania hanno compreso che l’epoca della crescita trainata dalle sole esportazioni volge al termine. Nella fase protezionista che stiamo attraversando” – ha aggiunto il professore – “vendere all’estero diventa sempre più difficile, e quindi una spinta della domanda interna diventa essenziale”.
Questa virata sarebbe dunque più una necessità dei tempi che un cambio di modello: “I tedeschi non abbandoneranno la storica vocazione all’austerity, ma finché dura il protezionismo dovranno necessariamente attenuarla”.
Il riflessi sui Bund
Nel frattempo, la prospettiva di una spesa pubblica più forte ha ulteriormente impattato i Bund tedeschi, con un aumento dei rendimenti del decennale, arrivati martedì al 2,89%. Da inizio anno, questo titolo considerato “privo di rischio” per gli investitori dell’Eurozona ha registrato un aumento di circa 44 punti base nei rendimenti, superiore all’incremento di 39 punti base osservato sui Btp decennali. Un restringimento dello spread, insomma, derivante stavolta da un aumento del rischio percepito in Germania, che secondo vari operatori rappresenta un’opportunità per chi cerca rendimenti ancora solidi, ancorati a un’economia perfettamente in grado di rimborsare il proprio debito (con un rapporto debito/Pil al 62,9% nel 2023).
Il calo nei prezzi dei bond europei si associa a prospettive più ottimistiche sull’azionario. “Le prospettive a lungo termine dell’Europa sono migliorate grazie al cambiamento storico della politica fiscale, e la sua attrattività relativa è enfatizzata dalla crescente incertezza economica e politica statunitense”, ha dichiarato in una nota César Pérez Ruiz, Head of Investments & CIO di Pictet Wealth Management. “Manteniamo una sovraponderazione delle azioni dell’Eurozona e abbiamo alzato il nostro target di fine anno per l’MSCI EMU a 195. Abbiamo rivisto al rialzo anche i nostri target di fine anno per il rendimento del Bund a 10 anni, portandolo al 3%, e per il cambio euro/dollaro, a 1,12”.
A livello più generale, il sondaggio BofA sui gestori europei indica che il 60% netto si aspetta oggi un’accelerazione dell’economia europea nei prossimi 12 mesi (in aumento rispetto al 45% netto rilevato a febbraio), mentre il 44% netto prevede un rallentamento dell’economia globale. Anche se con minore convinzione rispetto al mese scorso, il 77% dei gestori intravede potenziale per futuri rialzi dell’azionario europeo nell’orizzonte annuale, e il 60% nel breve termine.
Infine, la quota di gestori europei che vede nello Stoxx 600 il potenziale per diventare il miglior indice azionario nel 2025 è salita al 39%. Se a inizio anno il Nasdaq era saldamente al primo posto nelle aspettative, a marzo è solo quinto, superato da Stoxx 600, Hang Seng, MSCI Emerging Markets e Nikkei.
Con la prospettiva di una crescita più sostenuta in Europa, è aumentata anche l’idea che la Bce sarà meno incentivata a tagliare i tassi: questa previsione ha rafforzato l’attrattiva del settore bancario tra i vari comparti del mercato azionario. Le banche restano il maggior sovrappeso nei portafogli dei gestori europei, seguite dalle assicurazioni. Per il 50% degli intervistati, i titoli bancari restano attraenti nonostante un rally che dura ormai da anni.
Gli effetti del piano tedesco e delle spese infrastrutturali in arrivo si riflettono anche in un altro dato: in rapporto all’esposizione media dei portafogli dal 2003, è il settore delle costruzioni quello che attualmente ha guadagnato più spazio nelle scommesse dei gestori. L’indice settoriale Stoxx Construction & Materials è in rialzo del 19% da inizio anno, registrando un balzo più che doppio rispetto a quello dello Stoxx 600.