Si può risparmiare “per la pensione” in molti modi. Se l’obiettivo è specificamente quello di integrare un assegno pensionistico pubblico che si prevede troppo magro, il fondo pensione appare l’investimento più ovvio per mantenere un tenore di vita più soddisfacente.
Il fondo pensione, in più, offre una flessibilità che la pensione pubblica obbligatoria non dà: quando vengono maturati i requisiti per il pensionamento, infatti, è possibile ricevere immediatamente almeno una parte del risparmio accumulato sotto forma di capitale, ossia tramite un versamento in un’unica soluzione. Ottenere in anticipo buona parte del risparmio ha numerosi vantaggi, ma chiaramente riduce un po’ l’approccio di chi ha investito per ottenere una rendita che dura tutta la vita e abbattere il rischio di vivere “più a lungo dei propri risparmi”. Alla prova dei fatti, però, il capitale ricevuto in anticipo potrebbe essere reinvestito in altri asset che generano reddito o comunque utilizzato in modo più adeguato alle proprie esigenze.
Come orientarsi, quindi, nella decisione fra riscatto del capitale e le varie forme di rendita vitalizia? “Spesso i clienti sono indecisi su quale tipo di prestazione scegliere e sul tipo di rendita”, ha dichiarato a We Wealth Paola Ferrari, consulente finanziaria autonoma di Consultique Scf.
Fondo pensione: quanto capitale riscattare?
Per prima cosa, bisogna chiarire quanta parte del capitale accumulato nel fondo può essere riscattata. Se la rendita corrispondente al 70% del risparmio accumulato non supera la metà dell’assegno sociale, ossia un capitale “indicativamente di 99.000 euro”, è possibile riscattare fino al 100% del risparmio accumulato. Questa soglia si applica per ciascun singolo fondo pensione, senza che le varie posizioni si accumulino, “quindi se un cliente avesse due fondi pensione, ciascuno con una posizione di 70.000 euro, potrebbe richiedere in entrambi i fondi pensione il 100% in forma di capitale”.
Secondo Ferrari, il riscatto totale del capitale risulta generalmente l’opzione da preferire ogni volta che è possibile. In questi casi, infatti, la rendita integrativa risulterebbe comunque piccola. Meglio, dunque, “avere a disposizione tutto il capitale accantonato e scegliere liberamente se e quando utilizzarlo”, ha affermato la consulente indipendente, “potrebbe anche reinvestirlo in altri prodotti facilmente liquidabili, per esempio in obbligazioni che staccano una cedola, mantenendo così piena disponibilità della somma”.
Nei casi in cui il risparmio accumulato superi la soglia indicata in precedenza, quella che consente il riscatto al 100%, la legge consente di recuperare sotto forma di capitale fino al 50% della somma. In tali circostanze, però, l’assegno integrativo mensile potrebbe essere di valore interessante e apportare un miglioramento apprezzabile nello stile di vita. Pertanto, qui, la decisione sul se e quanto riscattare è innanzitutto determinata dalle altre rendite che il nuovo pensionato potrebbe ricevere: una buona pensione pubblica o, ad esempio, l’incasso di affitti, potrebbero rendere meno necessaria un’ulteriore rendita vitalizia dal fondo pensione e far propendere ancora per il riscatto del capitale.
La migliore utilità per la rendita vitalizia si verifica per quei risparmiatori che non sono riusciti ad accumulare un buon assegno pensionistico pubblico e che, allo stesso tempo, hanno risparmiato molto in prodotti di previdenza integrativa: in questo caso avere un assegno “a vita” per sostenere il proprio tenore di vita diventa relativamente più attraente del riscatto del capitale. Anche perché l’assegno del fondo pensione viene calcolato sulla base del capitale risparmiato – riscattarne una parte significa ridurre il versamento mensile. “Questa opzione sarà probabilmente quella preferibile per i giovani di oggi, i quali avranno una pensione pubblica meno generosa e potrebbero aver risparmiato in modo significativo nei fondi pensione”, ha precisato Ferrari.
Non tutte le rendite sono uguali
Se si decide di ricevere una parte del risparmio pensionistico sotto forma di rendita vitalizia, le scelte non sono finite. Infatti, il risparmiatore deve decidere il destino del proprio risparmio pensionistico in caso di decesso, bilanciando la generosità dell’assegno con le esigenze dei suoi eredi. Paola Ferrari di Consultique ha riassunto le principali opzioni:
- Rendita vitalizia non reversibile: “la percepisce l’aderente fino a quando è in vita, ma nulla andrà agli eredi. È un tipo di rendita “rischiosa” in quanto se, per esempio, dopo un mese dal percepimento della rata di rendita il pensionato venisse a mancare, tutto quanto versato resterebbe al fondo”. È anche la forma di rendita che consente di ottenere l’assegno più alto – una soluzione che potrebbe essere conveniente per persone senza eredi diretti e particolarmente longeve. Nei fatti, comunque, viene scelta da una minoranza dei clienti di Consultique, ha affermato Ferrari.
- Rendita vitalizia reversibile: “La rendita la percepisce l’aderente finché in vita, per poi passare al beneficiario designato finché quest’ultimo è in vita. La reversibilità ha un costo che dipende dall’età e dal sesso del soggetto beneficiario, nonché dalla percentuale di reversibilità assegnata”. Questa forma di rendita, adatta per esempio a garantire un sostegno al coniuge superstite, ha un costo in termini di minore importo dell’assegno mensile.
- Rendita certa per 5 o 10 anni, poi vitalizia: “La rendita viene corrisposta all’aderente o, in caso di decesso, ai beneficiari per il numero di anni stabiliti dall’aderente. Al termine di questo periodo la rendita si trasforma in vitalizia nel caso in cui il pensionato sia ancora in vita; si estingue nel caso in cui sia deceduto”.
- Rendita vitalizia con cashback: “La rendita viene corrisposta all’aderente finché in vita; al suo decesso, la parte di capitale residuo eventualmente non goduto sarà corrisposta ai beneficiari designati dall’iscritto. Questa è generalmente l’opzione che i nostri clienti preferiscono”.
Anche se ciascuna soluzione può essere adeguata a seconda dei casi e delle proprie preferenze, la rendita vitalizia con cashback risulta quella che la consulente Ferrari raccomanda al maggior numero di clienti “in quanto risulta essere un buon compromesso tra la rendita vitalizia non reversibile e la rendita reversibile”.
Né riscatto del capitale né rendita: l’ultima opzione
Per i risparmiatori con i patrimoni più consistenti, il fondo pensione si potrebbe rivelare a conti fatti più una forma di risparmio volta a scaricare oneri fiscali, che non a sostenere il tenore di vita durante la terza età. Come? Evitando di riscattare il capitale e di ricevere la rendita. Anche durante la pensione, infatti, è possibile continuare a contribuire al fondo, deducendo dalle imposte fino a 5.164,57 euro l’anno: un beneficio che consente di pagare meno tasse sulla pensione pubblica, continuando a mettere da parte risparmio per la generazione successiva. A chi “non ha bisogno né della rendita né del capitale, consigliamo di mantenere attiva la posizione nel fondo pensione e di continuare a versare il massimo deducibile fiscalmente”, ha concluso Ferrari, “al decesso del contribuente, l’intera posizione maturata verrà liquidata in forma di capitale agli eredi”.