L’obiettivo minimo di un fondo pensione dovrebbe essere, almeno nel mondo ideale, riuscire a mantenere intatto il potere d’acquisto dei risparmi nel momento in cui il sottoscrittore lascia il mondo del lavoro, compensando, al netto dei costi, l’inflazione. Eppure, una gran parte dei fondi pensione in Europa e in Italia non riesce nemmeno a centrare questo obiettivo minimo, come mostrato da un’indagine condotta da Better Finance, la federazione europea degli investitori, includendo i dati di 16 Paesi Ue. Alla base dei risultati deludenti di questa 12ª edizione del report, ci sono almeno due fattori. Primo, in media, i fondi pensione prevedono una distribuzione di portafoglio molto prudente: questo non è un bene, perché i rendimenti corretti per l’inflazione e per i costi possono diventare negativi anche in orizzonti temporali lunghi. I costi, appunto, molto variabili e tendenzialmente alti, sono l’altro grande problema per i rendimenti a lungo termine dei fondi pensione. Da questo punto di vista, l’Italia, grazie al monitoraggio dell’autorità di vigilanza Covip, permette i migliori livelli di trasparenza su costi e performance in Europa, assieme all’Olanda. Eppure, anche da noi, la variabilità nei costi è enorme: il rischio, dunque, è che venga raccomandato un fondo pensione molto caro — e spetta al singolo investitore essere abbastanza accorto e smaliziato da andare sul sito della Covip e verificare se gli stanno proponendo un fondo pensione poco performante o più costoso della media.
A livello europeo, i risultati del rapporto mostrano che, su orizzonti temporali fino a 24 anni, la maggior parte dei prodotti pensionistici ha consegnato rendimenti reali positivi. Tuttavia, il 75% degli stessi prodotti nei periodi di 7 e 10 anni ha fatto peggio dell’indice di riferimento composto al 50% da azioni e al 50% da obbligazioni. Questo solleva dubbi sull’effettiva capacità di molti prodotti pensionistici di preservare e far crescere il potere d’acquisto dei risparmiatori nel lungo periodo.
I fondi pensione in Italia: il rendimento reale prima delle tasse
L'esito del rapporto sui fondi pensione italiani è per certi versi più problematico. “Gli italiani investono relativamente poco dei loro risparmi nei fondi pensione contrattuali o aperti, o nei PIP ‘nuovi’… l’analisi della performance di lungo periodo di questi prodotti sembra dar loro ragione”, si legge nel rapporto.
“Su un periodo di 24 anni (2000–2023), i fondi pensione negoziali”, quelli destinati ad alcune categorie di lavoratori dipendenti, “riescono a offrire solo un rendimento reale netto dello +0,5% annuo; per i fondi pensione aperti è negativo, pari a -0,3%, mentre le due principali categorie di PIP, i piani con ‘gestione separata’ e i piani unit-linked, mostrano un rendimento reale netto rispettivamente dello 0,5% e dello -0,2% su 16 anni (2008–2024)”.
A proposito di costi, i materiali compilati ogni anno dalla Covip permettono confronti chiari su quanto possano variare a seconda del prodotto scelto. Un esempio su tutti: in un orizzonte a 10 anni, un PIP (il prodotto previdenziale assicurativo) comporta un costo che può oscillare fra lo 0,58% e il 4,07% all'anno. È chiaro che, di norma, i prodotti più prudenti prevedono costi più bassi a fronte di minori prospettive di profitto — ma il dato resta eclatante, visto che il PIP più caro costa sette volte di più di quello più economico. (Si veda la tabella in basso).
Ma come fanno fondi e PIP molto più cari della media a restare sul mercato? Da un lato, occorre educazione finanziaria per conoscere quanto materiale il regolatore mette a disposizione per fare i dovuti confronti. Dall'altro lato, però, potrebbe esserci anche una pressione commerciale della rete distributiva in grado di alterare le scelte più convenienti: “Il sistema di distribuzione basato sulle commissioni di vendita dei prodotti di risparmio volontario a lungo termine e pensionistici (fondi aperti e PIP) indirizza gli investitori al dettaglio verso prodotti onerosi in termini di commissioni e spesso con scarsi rendimenti a lungo termine”, afferma Better Finance, “il nostro rapporto evidenzia varie categorie di prodotti con commissioni medie elevate e scarsi rendimenti a lungo termine che i cosiddetti ‘consulenti’ sono pagati per raccomandare ai consumatori, andando contro il miglior interesse di questi ultimi”.
Al di là dei costi, il problema di un'eccessiva prudenza nelle scelte di portafoglio rimane anche in Italia. I fondi pensione negoziali investono meno di un quarto del loro patrimonio in azioni, privilegiando invece gli investimenti in titoli di debito per oltre il 60%. Anche i fondi pensione aperti mantengono un approccio prudente, con circa la metà delle attività investite in contanti o obbligazioni, mentre l'esposizione diretta alle azioni rappresenta solo il 23,8% del patrimonio nel 2023, afferma il report. Questo profilo di allocazione degli attivi evidenzia una preferenza generale per gli investimenti a basso rischio da parte del sistema previdenziale italiano. Ciò si traduce nei dati, poco lusinghieri, delle performance a lungo termine una volta corrette per l'inflazione.
“Le pensioni private italiane presentano casi tipici di politiche di investimento insufficientemente ‘aggressive’ combinate con costi elevati, che rendono i fondi pensione complementari — con l'eccezione relativa dei fondi pensione negoziali — incapaci di contribuire in modo significativo all'adeguatezza pensionistica”, sostengono gli autori dello studio.
Ammettere più rischio nelle gestioni di portafoglio dei fondi pensione richiederebbe una revisione delle “norme prudenziali, concepite per proteggere gli investitori dal rischio di perdite finanziarie”, norme che “richiedono ai gestori di fondi pensione e alle compagnie di assicurazione sulla vita di allocare una quota significativa dei fondi dei partecipanti… in debito sovrano degli Stati membri dell'UE”. Le normative che disciplinano i risparmi a lungo termine e pensionistici non dovrebbero discriminare gli investimenti azionari a lungo termine, sostengono gli autori, “in particolare, le strategie di life-cycling che adeguano il rischio all'orizzonte di investimento del risparmiatore dovrebbero consentire ai gestori di investire una parte sostanziale dei contributi o dei premi dei giovani investitori in strumenti dei mercati azionari”.