Da quando ChatGPT è entrato nell’arena, numerosi studi accademici hanno analizzato quanto l’AI possa fornire analisi finanziarie accurate, fino a migliorare le strategie di investimento. Nel mercato europeo, tuttavia, i fondi d’investimento che hanno integrato l’AI nella selezione di portafoglio restano una minoranza. A fine 2023, questi fondi almeno in parte AI-driven gestivano 13 miliardi di euro, pari allo 0,1% delle masse dei fondi armonizzati, secondo un nuovo studio dell’Autorità europea degli strumenti finanziari (ESMA). Inoltre, la maggior parte dei fondi che utilizza l’AI nei processi di investimento non la mette al centro della propria strategia di branding.
Per identificare i fondi che realmente impiegano l’AI, l’ESMA ha analizzato 825.000 documenti relativi a 44.000 fondi domiciliati nell’UE. Il risultato? Solo 145 fondi dichiarano di utilizzare AI o Machine Learning nel processo di investimento:
- 74 fondi azionari
- 31 fondi multi-asset
- 29 fondi di asset alternativi
- 10 fondi obbligazionari
Di questi, solo il 30% affida primariamente all’AI le decisioni di investimento (pesando solo per il 5% delle masse dei fondi AI), mentre gli altri la utilizzano prevalentemente come strumento di supporto. Inoltre, l’AI impiegata da questi fondi è per lo più basata su algoritmi tradizionali, e non sulla Generative AI come ChatGPT. Solo un fondo ha dichiarato di impiegare quest’ultima tecnologia per il monitoraggio dei titoli.
Per il sotto insieme dei fondi “AI driven” c’è anche un po’ di marketing a metterci lo zampino. Tra i fondi che menzionano l’uso dell’AI o del Machine Learning nei documenti di informativa agli investitori, dice l’Esma “un terzo include direttamente uno di questi termini nel proprio nome, sfruttando così l’approccio innovativo nella strategia di marketing e rendendo l’AI un elemento centrale della loro proposta di vendita. Tuttavia, solo in circa la metà di questi fondi la strategia di investimento è determinata principalmente dall’AI, mentre negli altri l’AI viene utilizzata solo nelle fasi preliminari del processo di investimento o come parte di un insieme più ampio di strategie”.
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L’AI migliora i rendimenti?
Secondo l’ESMA, non emergono differenze statisticamente significative né sui rendimenti assoluti, né sull’alfa tra i fondi AI e quelli tradizionali. Tuttavia, nel campione analizzato, i fondi AI hanno registrato rendimenti medi leggermente superiori rispetto ai tradizionali, ma senza un vantaggio statisticamente robusto.
Sulla carta, l’AI potrebbe migliorare la performance grazie a una migliore allocazione degli investimenti o a un’efficienza operativa superiore, che consentirebbe di abbattere i costi. Tuttavia, solo i fondi azionari AI mostrano un TER (Total Expense Ratio) inferiore rispetto alle controparti tradizionali. Per le altre categorie di fondi, l’AI non ha portato a una riduzione dei costi, anzi, in alcuni casi ha comportato spese leggermente superiori.
Le ragioni per cui i fondi AI hanno registrato risultati leggermente migliori sono riconducibili alla variabilità statistica e non a un reale vantaggio competitivo. Inoltre, se il confronto si estende agli indici di mercato, emerge che né i fondi AI né quelli tradizionali riescono a battere stabilmente il benchmark, confermando i risultati di ricerche precedenti.
"Nel complesso, questi risultati suggeriscono che, pur non offrendo agli investitori una performance superiore alla media, l’adozione dell’AI nei fondi attualmente non comporta costi più elevati per i clienti”, ha concluso l’ESMA. “Resta dunque aperta la questione se i gestori di investimento possano ampliare l’uso dell’AI contenendo al contempo le spese operative e offrendo ai clienti commissioni inferiori rispetto alla concorrenza."
Con il progresso tecnologico e una maggiore integrazione dell’AI, sarà interessante vedere se queste soluzioni riusciranno a tradurre il loro potenziale in un reale vantaggio competitivo per gli invest