I fondi comuni di investimento si diffondono in Italia a metà degli anni ’80 con lo scopo di agevolare i risparmiatori che, pur volendo operare sui mercati obbligazionari e azionari, non sono nelle condizioni economiche adatte per farlo. Dalla loro nascita assumono un’importanza crescente benché a oggi rappresentino ancora una quota modesta delle attività finanziarie dei risparmiatori italiani.
Abbiamo provato a cercare i fondi italiani veterani, quelli che dalla data di lancio ancora raccolgono i risparmi e la fiducia degli italiani. E con loro, abbiamo provato a ricostruire una storia italiana tutt’altro che lineare.
Nella tabella riportata di seguito, in evidenza i 10 fondi storici che dall’emissione hanno reso di più. Il rendimento, va detto, non tiene conto delle oscillazioni dell’inflazione che proprio in quegli anni scendeva al di sotto dei livelli critici dei primi anni ’80 (10,8% al 1 gennaio 1984). Più che dimezzato in soli 10 anni, l’aumento dei prezzi arriva al 5,2% nel 1992 per calare ulteriormente nei primi anni 2000 (2,7% nel 2001)(Fonte:rivaluta.it). Considerati i livelli anche negativi raggiunti negli ultimi anni, come stabilire quali fondi comuni abbiano davvero reso sul lungo termine? Molto dipende dalle aspettative degli investitori e in quali momenti questi abbiano scelto di disinvestire le loro quote.
Fonte: Morningstar Direct. Sono stati selezionati i fondi con domicilio Italia, ancora esistenti e con data di lancio precedente il 1990. E’ stata utlizzata la classe più anziana (oldest share class). E’ possibile che i fondi abbiano cambiato nome e strategia nel periodo di riferimento. Sono esclusi i fondi liquidati o fusi in altri. I dati di rendimento sono al 30 giugno 2018 e sono calcolati sulla base della serie storica disponibile, a partire dalla data di lancio. Le performance sono in euro annualizzate e non cumulative. Per il periodo precedente l’euro è stata usata la lira. I rendimenti tengono conto delle variazioni nel regime di tassazione pre-post tax che sono avvenuti nel tempo
La parola a Ersel
“I mercati hanno avuto, soprattutto in Europa, un andamento oscillatorio tra la fine degli anni ‘90 e oggi”. Così il gestore di Fondersel, Andrea Nascè, commenta lo scenario nel quale la nascita dei fondi comuni in Italia si inserisce. “Un ottovolante caratterizzato da fasi molto sfavorevoli e molte altre invece più positive”. Fondersel, il fondo di Ersel, nasce nell’agosto del 1984 e gestisce ad oggi un patrimonio di circa 160 milioni di euro. “Ersel è stata la prima società di gestione in Italia iscritta all’albo di gestione e lo è tutt’ora. Nell’estate del 1984 partiva Fondersel e da allora la politica degli investimenti ha sicuramente subito un’evoluzione importante. Nei primi anni della sua vita il fondo si è occupato prevalentemente di asset italiani. La storia è andata poi evolvendo verso un portafoglio che oggi è totalmente internazionale”. Da allora il rendimento annuo, al netto delle fee per il sottoscrittore è del 7,55% (dati al 10 luglio 2018). Nel 2017 ha reso il 3,29% e da inizio 2018 si trova sostanzialmente in pari, perdendo a luglio lo 0,07%.
Nei primi anni, i fondi bilanciati la fecero da padroni: in poco tempo andarono a coprire un terzo del mercato dei fondi in termini di patrimonio complessivo. “Per le neonate società di gestione il bilanciato rappresentava il punto di partenza con cui cominciare un dialogo con i clienti, in grado di mettere assieme le caratteristiche di crescita degli investimenti azionari con le caratteristiche difensive offerte dalle obbligazioni. Il timing del lancio poi fu molto fortunato: coincise con un periodo di entusiasmo sui mercati. Per i primi sottoscrittori di questo strumenti – prosegue Nascè – il capitale raddoppiò in fretta. Del 7,55% medio annuo di Fondersel, la fase iniziale ebbe un effetto sicuramente positivo e così per tutti i primi fondi nati in Italia. Poi seguì il crollo del 1987: tutti ne patirono le conseguenze”.
L’effetto del lunedì nero si propagò continente per continente fino ad arrivare agli acerbi fondi italiani. “Ci furono per un periodo poche gioie e molti dolori, anche legati alle vicende politiche italiane. Molti fondi solo gradualmente si internazionalizzarono e passarono, subendo, attraverso fasi in cui l’Italia ebbe senz’altro difficoltà. A metà degli anni ‘90 vi furono poi nuove fasi di entusiasmo con le privatizzazioni bancarie”.
La Grande Recessione
“Se parliamo invece del 2008 il colpo l’abbiamo accusato. Rispetto agli investimenti azionari più a rischio c’è stato un effetto positivo di diversificazione legato a un portafoglio più ricco con più colonne portanti. Ma la perdita è stata significativa”.
Proprio con l’internalizzazione infatti molti dei fondi storici troveranno la strada per superare i grandi ostacoli degli anni 2000. “La linea di sviluppo più distintiva che accomuna molti dei gestori italiani è quella di un processo di diversificazione geografica, sia nell’azionario che nell’obbligazionario. Il rigido schema equity – bond nel tempo è stato sostituito da un menù più articolato che è andato a comprendere l’esposizione in asset reali, come le commodities prima e le strategie alternative poi”.
“Ciò che caratterizza nel bene e nel male i tempi più recenti è riconoscere poco valore alla componente obbligazionaria e più a quelle alternative. La virtù principale di questi fondi multi-asset è che costituiscono un one stop shop per il risparmiatore, dando la possibilità a chi ha pochi denari da investire, di trovare a un costo ragionevole la diversificazione del proprio portafoglio.
Allianz e gli investment grade
Con un rendimento medio dal lancio, nel giugno ’84, del 6,27%, Allianz Reddito Euro investe invece prevalentemente in obbligazioni denominate in euro di tipo investment grade. “Si tratta di un fondo che rappresenta bene la nuova realtà del mercato obbligazionario europeo – precisa il gestore Mauro Vittorangeli – La parte prevalente del portafoglio è costituita da obbligazioni governative ma è presente anche una componente significativa di obbligazioni societarie e di titoli emessi da agenzie governative e di titoli di tipo covered bond. La gestione è attiva e si focalizza in particolare sul rischio di tasso di interesse e sull’allocazione degli investimenti tra le diverse tipologie di obbligazioni”. Sebbene non libero dai condizionamenti del mercato nel corso degli anni, “nel recente passato la performance complessiva del fondo ha beneficiato sia della generale riduzione dei rendimenti obbligazionari all’interno dell’Eurozona, sia della compressione degli spread tra i paesi”.
Dopo 30 anni di ottovolante, i fondi italiani vedono nuovamente una significativa battuta d’arresto: non resta che aspettare a vedere come si concluderà il 2018.