Le criptovalute nella successione ereditaria: si tratta di denaro?

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Focus sulla disciplina successoria da applicarsi alle criptovalute. Quali sono le implicazioni fiscali?

L’intreccio tra la materia successoria, consolidata e stabile sin dalla sua reintroduzione nel 2006, e l’avvento del fenomeno delle criptovalute (crypto-asset), sempre più diffuse tra i contribuenti a elevata patrimonialità, ha comportato il sorgere fisiologico di aspetti di difficile interpretazione. 

Tali criticità sono riconducibili, da un lato, al carattere di grande novità degli asset digitali, in primis le criptovalute, che hanno introdotto un nuovo linguaggio, una nuova forma e, forse, una nuova era.
Dall’altro, a una normativa statica che non si è adeguata tempestivamente e non ha compreso compiutamente il fenomeno lasciando gli investitori senza risposte certe. 

Nel silenzio della norma e di chiarimenti definitivi da parte dell’Agenzia delle entrate, si prova ad affrontare il dubbio circa la disciplina successoria da applicarsi alla valuta virtuale indagandone le implicazioni fiscali. 

Partendo dall’analisi di ciò che è certo, la normativa di riferimento stabilisce che l’imposta di successione si applica sui trasferimenti di beni e di diritti a causa di morte con aliquote e franchigie diverse a seconda dei destinatari individuati. L’aliquota da applicarsi è pari al 4% sul valore complessivo netto che eccede, per ciascun beneficiario, la franchigia di un milione di euro qualora i beni siano devoluti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta, per poi aumentare al 6% in ragione di un diverso vincolo di parentela e all’8% qualora i beni siano devoluti a favore di qualsiasi altro soggetto, con una franchigia minore o del tutto assente. È prevista inoltre una presunzione tale per cui il valore complessivo di “denaro, gioielli e mobilia” è forfettariamente stabilito nel 10% del valore globale netto dell’asse ereditario, salvo che non venga presentato un inventario analitico, redatto dal cancelliere del giudice di pace o dal notaio, che ne quantifichi l’esatto ammontare, in un valore che potrà essere inferiore o superiore alla suddetta quota forfettaria. 

Maggiormente complicata è la questione che riguarda il trattamento delle criptovalute ovvero se siano da includere nell’asse ereditario complessivo, e in tal caso a quale titolo, oppure se siano imputabili a quel valore forfettario del 10% di cui si è detto. È evidente che, a fronte di un valore non trascurabile di criptovalute, l’una o l’altra opzione ha conseguenze tangibili nella liquidazione dell’imposta successoria. 

Stante la natura propria della criptovaluta, qualificabile come bene a contenuto patrimoniale avente un valore economico a cui sono legati diritti di utilizzazione in capo al titolare, è pacifico ritenere che questa possa essere oggetto di successione formando ciò che è configurabile come patrimonio digitale. In linea di principio, infatti, le norme italiane che regolano l’imposta di successione trovano applicazione per l’intero patrimonio del de cuius, ovunque sia localizzato. A tal riguardo, seppur in assenza di una specifica previsione normativa, pare ragionevole sostenere che, in base al principio della territorialità, qualora il defunto sia residente in Italia al momento della morte rientrino nell’asse ereditario soggetto all’imposta di successione la totalità delle criptovalute, indipendentemente dal luogo in cui siano conservate. Diversamente, nel caso di un de cuius non residente, l’imposta di successione potrebbe avere ad oggetto le criptovalute detenute su wallet o piattaforma exchange con sede nei confini nazionali, per quanto, la natura a-territoriale delle criptovalute rende incerta tale conclusione. 

Ancora più incerta è però la questione inerente l’inquadramento del bene criptovaluta all’interno delle esistenti categorie previste dalla normativa sulle successioni ereditarie; come è noto, infatti, alla diversa natura dei beni corrispondono differenti modalità per determinare il valore che concorre a formare la base imponibile complessiva ai dell’imposta in esame. 

Secondo le uniche indicazioni ufficiali fornite dall’Agenzia delle entrate ai fini di tributi diversi da quello successorio ma che formano l’orientamento consolidato a partire dal 2016 e fino alla recente risposta all’interpello n. 397/2022, le criptovalute sono assimilate alle valute estere, rientrando così nella più vasta accezione di denaro. 

All’atto pratico, quindi, le criptovalute, se considerate alla stregua di denaro, potrebbero non essere indicate autonomamente e separatamente quali beni e diritti che compongono l’asse ereditario globale, ma, in virtù della norma che istituisce l’automatica applicazione del 10% per il valore attribuibile a “denaro, gioielli e mobilia”, essere assorbite in tale quantificazione forfettaria. 

Gli eredi di grandi patrimoni di cripto-asset potrebbero perciò essere indotti a far confluire le criptovalute in tale valore forfettario e ciò indipendentemente dall’effettivo valore delle stesse, anzi proprio in ragione dell’effettivo valore, tenuto conto che facilmente risulterebbe superiore a quello corrispondente al 10% del valore globale dell’asse ereditario. In tale scenario, peraltro, secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione già nel 2008, l’Agenzia delle Entrate non può eccepire che “denaro, gioielli e mobilia” abbiano un valore superiore a quello presunto forfettariamente. 

Ciò detto, è opportuno chiarire che l’accostamento delle criptovalute al denaro non rappresenta l’unica possibile alternativa. Basti pensare che le valute virtuali, per loro stessa natura, si prestano a essere ricondotte in modo altrettanto fondato all’interno delle categorie dei beni immateriali, come affermato dalla prassi contabile internazionale, o, in alternativa, a quella dei prodotti finanziari, l’esempio più lampante in tal senso è rappresentato dall’interpretazione accolta dall’autorità fiscale tedesca.

La tesi in base alla quale le valute virtuali sono da considerarsi beni immateriali, e quindi trattate ai fini dell’imposta di successione quali “altri beni”, è quella più condivisibile e anche più adatta a ricomprendere un bene atipico e innovativo come quello oggetto di analisi. In tal caso, la valuta virtuale concorrerebbe a formare la base imponibile secondo il valore venale in comune commercio, ossia, ragionevolmente, in base al valore medio indicato sulle principali piattaforme di negoziazione del crypto-asset. 

Si può quindi desumere quanto sia dirimente la qualificazione giuridica del bene criptovaluta nella successione ereditaria, specialmente alla luce delle differenti discipline da applicarsi alla valutazione dell’asset con riferimento alla formazione della base imponibile. 

In virtù dell’incertezza qualificatoria che contraddistingue le criptovalute in ambito successorio, causata dell’assenza di una normativa ad hoc e, ancor di più, dalla mancanza di prese di posizione dell’Amministrazione finanziaria, le stesse potrebbero essere ricondotte in categorie molto diverse tra loro con risvolti fiscali di grande rilevanza. Chiarito ciò, sembra plausibile che fino a quando le autorità fiscali continueranno a considerare le valute virtuali come valute estere, seppure in contesti estranei all’imposta di successione, possa trovare spazio la posizione per cui i crypto-asset siano riconducibili alla categoria “denaro, gioielli e mobilia”, rendendo estremamente vantaggiosi i risvolti successori per gli investitori in criptovalute.

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