Il “magazzino” delle tasse non riscosse ha ormai più di 20 anni, e, secondo il direttore dell’Agenzia delle entrate, richiederebbe delle scelte – dovrebbe forse essere il vero focus della riforma fiscale?
“Tasse non riscosse oltre i 1.100 miliardi” (di euro), così titolava il Sole 24 Ore qualche giorno fa. Per quanto scorretto, convertire in vecchie lire (italiane) può aiutare il lettore ad avere un sussulto: sono oltre 2 milioni di miliardi di lire, appunto.
Cosa si può fare con un importo del genere? Qualcuno penserà a nuove infrastrutture, qualcuno all’edilizia scolastica, qualcuno a ridurre le tasse a coloro che continuano, imperterriti, a versarle.
In ogni caso, a modesto avviso di chi scrive, un titolo del genere dovrebbe guadagnare le prime pagine di tutti i giornali (salva la precedenza alle cronache belliche): come può l’Italia appartenere al G8 (insieme alla Russia, sic!) e non riuscire a riscuotere i propri crediti? Ovviamente è posta male la domanda: come mai ci consentono di restare nel G8, visto che siamo incapaci di far rispettare un debito verso lo Stato?
Il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, è stato ascoltato dalla commissione parlamentare sul Federalismo fiscale, alla quale ha dichiarato che dal 2015 il Parlamento è informato circa l’ingestibilità del “magazzino del non riscosso”. Un fenomeno da grandi evasori (i famosi grandi evasori)? Non si direbbe, stando alle cifre: 130/140 milioni di cartelle, 230 milioni di partite creditorie da riscuotere, 16 milioni di cittadini iscritti a ruolo.
Avete letto bene: 16 milioni, il che equivale a circa una persona su quattro (la popolazione censita nel 2020 era di 60 milioni), proporzione destinata a crescere se escludiamo le fasce più giovani (non ancora avvezze a sottrarsi ai debiti verso la collettività).
E la situazione non può che peggiorare: stando sempre al direttore, nel “magazzino” ogni anno entrano 70 miliardi di crediti da riscuotere e ne escono meno di 10 miliardi di crediti riscossi.
Non è colpa quindi della pandemia (il fenomeno risale almeno al 2015) e la malattia non mostra comunque segni di miglioramento: “Abbiamo un magazzino unico al mondo. In nessuna parte del mondo si sceglie di mantenere 22 anni di crediti non riscossi. Si fanno delle scelte”, così ha dichiarato il direttore.
Quali scelte? Rottamare, condonare, stralciare, verrebbe da rispondere: peccato che, sempre secondo il direttore, le rottamazioni e le altre definizioni agevolate non hanno avuto effetti deflativi degni di nota.
Insomma, siamo al punto in cui i nostri concittadini, che hanno debiti (certi) nei confronti dello Stato (noi), neppure credono che sia conveniente mettersi in regola pagando con lo sconto: confidano sul fatto che non pagheranno mai!
Inutile osservare come in altri paesi del G8, ma probabilmente anche di un ipotetico G50, una situazione del genere non sarebbe tollerata dall’opinione pubblica e porterebbe a una reazione politica, se non nell’immediato, almeno nel medio termine.
Più importante osservare quanto poca credibilità possa avere una partorenda riforma fiscale che non parta esattamente da qui, dai crediti non riscossi: per usare una metafora, sarebbe come un paziente che arriva al pronto soccorso con una ferita che sta causando una pesante emorragia, e l’equipe medica si mette a discutere se sia meglio fare innanzitutto una Tac o un emocromo completo, così da inquadrare meglio il paziente (forse sarebbe il caso, per prima cosa, di tamponare la ferita e interrompere l’emorragia).