Il Bureau of Economic Analysis rilascerà a fine luglio 2023 la revisione annuale dei conti nazionali, una revisione che – annualmente, appunto – riscrive la storia recente dell’economia americana.
Per la verità di solito le revisioni non sono troppo importanti, a meno che non dipendano da cambiamenti nel perimetro delle grandezze rilevate: per esempio, quando, anni fa, furono inclusi nel Pil gli investimenti immateriale in software, o, più recentemente, quando furono inclusi nel Pil i redditi da prostituzione.
Se un giorno venisse incluso nel Pil anche il lavoro domestico (oggi, se un ricco signore sposa la governante, fa diminuire il Pil…) vedremmo che forse la caduta dell’attività economica nei tempi del Covid non fu grave come si pensava, dato che il lavoro domestico e altre attività intra muros conobbero un forte impulso.
Ma, torniamo alla revisione dei conti. Anche se queste revisioni sono minori, le grandezze residuali, come i profitti, possono variare molto.
Una analisi che facciamo periodicamente su queste colonne confronta, per la Borsa americana, i profitti e le quotazioni. Le due variabili dovrebbero andare di conserva, a parte urti di breve periodo, provenienti da cigni e cignetti neri (black swans e black sygnets – il sygnet è il pulcino del cigno). Il grafico si vale di due variabili: da un lato, i profitti societari di contabilità nazionale (dopo l’imposta), variabile a sua volta sdoppiata in due versioni, al lordo e al netto degli aggiustamenti necessari per riportare ammortamenti e variazione di scorte dal costo storico al costo di sostituzione (la definizione di profitti societari più affine a quella riportata nei bilanci delle società è quella al lordo dei due aggiustamenti, e quindi più affine agli utili guardati dal mercato azionario). I profitti societari di contabilità nazionale includono anche gli utili fatti all’estero da società americane (ed è da ricordare che questi utili sono una cospicua fetta, circa il 40%, dei profitti delle società quotate). La seconda variabile è un indice dei prezzi delle azioni: il Wilshire 5000 (che include molte più società – circa 6700 – di quelle suggerite dal nome.
Certo, i profitti di contabilità nazionale includono tutto l’universo societario, ma le 6700 società possono essere considerate un campione rappresentativo di quell’universo. Queste tre grandezze sono state trasformate in numeri indici che partono dal 1995, anzi, per essere più precisi, dal terzo trimestre del 1995 (un anno prima che Alan Greenspan pronunciasse, il 5 dicembre 1996, il famoso discorso sulla “esuberanza irrazionale” della Borsa americana). Si è scelto un anno base lontano nel tempo perché la relazione fra Borsa e profitti può essere disturbata da millanta fattori che offuscano, come detto, il parallelismo nel breve periodo.
L’ultima volta che ci eravamo chinati su questa correlazione, a ottobre del 2022, avevamo osservato che «la recente debolezza della Borsa Usa ha portato le quotazioni più in linea con l’andamento dei profitti. Sulle quotazioni hanno influito sia l’andamento dell’economia reale (che influisce sugli utili), sia la forza del dollaro (che ridimensiona i profitti realizzati all’estero), sia il crescente livello dei tassi, che aumenta lo ‘sconto’ dei profitti futuri, rimpicciolendoli quando siano riportati ad oggi».
Oggi, a otto mesi di distanza, dobbiamo rimarcare che la rimarchevole tenuta della Borsa americana ha basi molto fragili. Le quotazioni (vedi grafico) si sono allontanate dagli utili. Se a questo si aggiungono i segnali di debolezza dell’economia e le probabilità – non insignificanti – di una recessione, è forse tempo di ‘sottopesare’ Wall Street nei portafogli azionari.
Questo articolo è tratto dal numero di luglio/agosto di We Wealth
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