Il “Giorno della Liberazione” invocato dal presidente Donald Trump si è tradotto nella combinazione di due mosse: un dazio universale al 10% su tutti i beni importati, il livello più basso tra le opzioni considerate, e, in aggiunta, dazi specifici per aree economiche e singoli Paesi. L’Unione Europea, in particolare, sarà colpita da un dazio del 20%, mentre per la Cina l’aliquota salirà al 34%.
Wall Street ha reagito con un rialzo, non tanto per i benefici attesi dalle misure, quanto perché i dazi si sono rivelati meno pesanti del previsto – o forse semplicemente perché si è chiusa una lunga fase di incertezza, alimentata da settimane di dichiarazioni contraddittorie. L’S&P 500 ha guadagnato lo 0,67%, il Nasdaq lo 0,87%. Anche l’oro ha aggiornato i suoi massimi, con il future salito a 3.177,70 dollari l’oncia. Nelle ore successive all’annuncio, tuttavia, l’orientamento dei mercati si è invertito. Il Dow Jones future è in calo del 2,7% e le borse europee e asiatiche hanno aperto la seduta in profondo rosso.
“Per le nazioni che ci trattano male, calcoleremo l’aliquota totale dei dazi e delle barriere non tariffarie che impongono, e applicheremo loro circa la metà di quanto ci hanno fatto pagare”, ha dichiarato Trump, “avrei potuto applicare dazi completamente reciproci, ma sarebbe stato troppo duro per molti Paesi. Abbiamo scelto un approccio più morbido, ma comunque deciso”.
Di seguito una parte dei dazi specifici introdotti:
Paese/Area | Dazio applicato a Usa (%) | Dazio Usa in risposta (%) |
---|---|---|
Cina | 67 | 34 |
Unione Europea | 39 | 20 |
Vietnam | 90 | 46 |
Taiwan | 64 | 32 |
Giappone | 46 | 24 |
India | 52 | 26 |
Il metodo di calcolo per determinare “l’aliquota” non ha realmente a che vedere con i dazi subiti dai prodotti americani, ma viene ricavata dal deficit commerciale. La Casa Bianca ha successivamente chiarito la tipologia di calcolo utilizzata.

Tra i dettagli del piano, l’amministrazione ha introdotto con effetto immediato un dazio del 25% sui Paesi che acquistano petrolio dal Venezuela. Ancora più rilevante, le auto non prodotte negli Stati Uniti saranno sottoposte a un dazio del 25%, come annunciato nei giorni scorsi – una misura che avrà forti ripercussioni su buona parte dell’industria automotive europea. Entro il 3 maggio, un dazio del 25% sarà esteso anche ad alcune componenti automobilistiche. Sono invece ancora in attesa di una data ufficiale i dazi settoriali su microchip, farmaci (che rappresentano la prima voce dell’export europeo verso gli USA) e legname, annunciati da Trump ma non ancora calendarizzati.
L’introduzione di questi costi potrebbe generare un effetto inflattivo immediato sull’economia americana e, al tempo stesso, comprimere le prospettive di crescita nei Paesi esportatori. Ma anche il PIL statunitense subirà un impatto negativo: Goldman Sachs, che ha recentemente alzato al 35% le probabilità di una recessione negli Stati Uniti nei prossimi 12 mesi, stima che l’aliquota tariffaria effettiva aumenterà di 15 punti percentuali nel corso dell’anno, sottraendo poco più di un punto percentuale alla crescita economica. Con prodotti più costosi, i consumatori tenderanno a ridurre i propri acquisti – e non solo di beni importati.
Per il momento, la reazione dei mercati riflette sia il sollievo per la fine dell’incertezza, sia la speranza che queste misure possano avere vita breve. Molti analisti ritengono che Donald Trump voglia evitare di danneggiare l’economia e i mercati finanziari con una politica commerciale troppo rigida. L’impressione prevalente è che i dazi servano soprattutto da leva nei negoziati internazionali, più che rappresentare un cambio di paradigma duraturo nel commercio globale.