Di fronte al silenzio della politica, è proprio dai giovani che parte il desiderio di combattere contro battaglie che sembrano più grandi di loro, ma quando la finanza gioca la sua parte, è possibile vedere un cambiamento reale.
Questo è proprio quello che è successo alla fine del 1900, mentre le grandi istituzioni erano troppo focalizzate sulla guerra fredda e la paura che il comunismo ottenesse sempre più potere, l’attenzione degli studenti universitari e della maggior parte della popolazione americana era sulla situazione in Sudafrica, dove da anni andava avanti una lotta contro il regime bianco dell’apartheid.
Proprio da qui è partita la conferenza di Etica Sgr in collaborazione con Bank Station: “Una finanza che fa storia: Out Now! Un viaggio dal podcast al palco” dove, per la prima volta, un podcast è stato portato sul palco del Salone del Risparmio.
Disinvestire in Sud Africa ora: la finanza può davvero cambiare la storia?
È fin troppo facile immaginare il mondo della finanza formato solo da uomini in giacca e cravatta, indaffarati a guardare dati in tempo reale. Una finanza di questo genere ha veramente il potere di cambiare il mondo?
La realtà è che alle spalle di chi lavora in questo mondo c’è la popolazione, e spesso sono proprio i singoli individui a rendersi conto del loro potere. Un bisbiglio da solo è silenzioso, ma tanti tutti insieme sono capaci di svegliare chiunque, anche bloccare l’apartheid.
Il 2 ottobre 1986 sulle scale del senato a Washington c’era una folla compatta e silenziosa, che cercava di carpire qualche parola del dibattito all’interno dell’aula. 99 senatori stavano discutendo per l’approvazione di una legge di politica estera che riguardava direttamente il Sudafrica, che quasi da quarant’anni viveva ormai sotto un regime di segregazione razziale, l’apartheid. La proposta di legge riguardava il Comprehensive Anti-Apartheid Act, un pacchetto di sanzioni che avevano l’obiettivo di indebolire l’economia del Sudafrica dall’interno, agendo da tre diverse prospettive: embargo sul petrolio, divieto di importare beni prodotti in Sudafrica e divieto per le aziende statunitensi di investire nel Paese.
Ma come si è arrivati a questo punto? Durante la conferenza Francesco Namari, Luca Dann e Chiara Castellana di Bank Station hanno spiegato che è stato necessario aspettare fino al 1976 per i media occidentali per mostrare la strage che era in atto in Sud Africa. Una protesta di studenti appena usciti da scuola, che chiedevano a gran voce che la lingua delle lezioni fosse una che conoscevano bene e non l’afrikaans imposto dai coloni bianchi, finisce in molti spari da parte della polizia. Ed è così che a giugno di quell’anno su tutte le prime pagine negli Stati Uniti vi è un’immagine che non lascia più dubbi, ragazzini uccisi in piazza, mentre protestavano e chiedevano di nuovo libertà.
Così nel 1976 migliaia di persone scendono in piazza negli Stati Uniti e sono pronti ad opporsi al regime dell’apartheid anche se si parla di un altro continente a migliaia di chilometri di distanza. E, anche in questo caso, la protesta parte proprio dagli studenti. Ma i giovani non vanno a protestare sotto le finestre delle grandi aziende americane che investono nel mercato sudafricano, avendo lì parte della loro produzione, bensì cercano di far sentire la loro voce ai rettori delle università e ai sindaci delle città, è a loro che a grande voce gridano di disinvestire subito – Out Now! Questo perché esiste un filo che connette le aule con le aziende che investono in Sudafrica e questo filo sono le azioni. “Tutte le università statunitensi hanno azioni delle grandi imprese che fanno affari in Sudafrica, gli studenti vogliono che le università si disfino rapidamente di tutte queste azioni. Infatti, mentre alle aziende non importa nulla dell’attivismo di piazza, invece non possono rimanere immobili davanti al disinvestimento di tutti i grandi investitori”, hanno spiegato durante il podcast. Da singole università a piccole città, fino a passare anche per stati, più l’attivismo anti-apartheid cresce, più sono le istituzioni che decidono di disinvestire.
Scegliere di disinvestire però non è semplice, anche perché sono sempre di più le imprese che si propongono come mezzo per il cambiamento, cercando di invertire il trend. Queste aziende dicono che il modo migliore per opporsi all’apartheid è dall’interno, offrendo posti di lavoro dignitosi, offrendo uguaglianza razziale in azienda. Ma serve davvero offrire eguaglianza sul posto di lavoro quando fuori da quelle quattro mura le persone di colore non hanno il diritto di voto? Non è per una mensa condivisa che i neri combattono, ma per la libertà.
Il 1983 è l’anno che segna la differenza: da poche proteste ora l’obiettivo diventa quello dell’insurrezione violenta e, in risposta, il governo sudafricano impone una legge marziale. Si tratta della goccia che fa traboccare il vaso. Il cambiamento dall’interno che tanto promettevano le aziende statunitensi si è dimostrato inutile, così come diventa sempre più chiara l’inefficienza della quiet democracy proposta dal presidente Regan. Se gli Stati Uniti vogliono veramente aiutare nella battaglia anti-apartheid c’è solo una soluzione, proprio quella richiesta a gran voce dagli studenti: le aziende Usa devono lasciare il Sudafrica, allora è necessario che tutti disinvestano da queste. Ed è effettivamente quello che accade, finché non si arriva al 2 ottobre 1986 dove 78 senatori su 99 votano a favore del Comprehensive Anti-Apartheid Act, da quel momento in poi disinvestire dal Sudafrica non è più solo una scelta possibile, ma necessaria.
La finanza fuori dai suoi confini
La finanza ha confini ben più ampi di quelli del mercato. Il profitto individuale non è, e non può essere, l’unico obiettivo degli investitori. Investire in temi cruciali ed etici per l’investitore può fare una differenza nel pratico. Contrastare le guerre, lottare per ottenere uguaglianza di genere e razziale o abbracciare temi di sostenibilità è possibile.
La finanza non è solo un sistema per gestire il denaro, ma una vera arma che porta avanti idee e valori.
“Se ogni persona si aggiunge al coro, si può fare la differenza. Investendo si ha sempre un potere, e non soltanto il potere di influenzare le aziende. Investendo abbiamo il potere di esprimerci. È un modo in più per prendere una posizione chiara sui temi che ci stanno a cuore. È un modo per votare col portafoglio, per mostrare chiaramente i nostri valori e le nostre priorità. È un modo per unirci al coro, e cantare”. Così si chiude il podcast di Etica Sgr.