Il parziale disgelo dei dazi, con reciproche aperture fra Stati Uniti e Unione europea, ha ridato fiato all’azionario fra le due sponde dell’Oceano, dopo che un’apertura analoga aveva rivitalizzato la piazza giapponese. Per 90 giorni i dazi americani saranno ridotti al 10% sulla gran parte delle merci e, per lo stesso periodo, anche l’Unione europea congelerà i contro-dazi che aveva preparato per rispondere alle barriere doganali innalzate dal presidente Trump. “Abbiamo preso atto dell’annuncio del presidente Trump. Vogliamo dare una possibilità ai negoziati”, ha dichiarato la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. “Se i negoziati non saranno soddisfacenti, le nostre contromisure entreranno in vigore. Il lavoro preparatorio su ulteriori misure di risposta continua. Come ho già detto, tutte le opzioni restano sul tavolo”.
Mercoledì Trump aveva fatto la prima mossa, sospendendo temporaneamente i nuovi dazi “reciproci” sulla maggioranza dei Paesi interessati, pur lasciando in campo gli inasprimenti sull’acciaio, sull’alluminio e sul comparto automobilistico. La guerra commerciale vera, però, sale di temperatura in Cina: in risposta a Pechino, Washington ha introdotto un dazio aggravato al 125%.
Per i mercati, però, una cosa appare chiara: i nuovi dazi americani sembrano essersi confermati una leva negoziale più che una misura strutturale, vista la loro precoce sospensione a poche ore dall’introduzione. Mercoledì l’S&P 500 ha segnato +9,5%, miglior giorno dal 2008; il Nasdaq +12,2%, record giornaliero dal 2001. L’apertura di giovedì non ha confermato il trend, con un nuovo ribasso di Wall Street attorno al 3%. La reazione positiva di mercoledì, comunque, sembra riprezzare drasticamente l’impatto economico dei dazi – chiaramente più grave se persistono in modo strutturale e non come spauracchio temporaneo. Bene giovedì anche le Borse asiatiche: Taiwan +9,2%, Nikkei +8,3%, KOSPI +5,3%, e in Europa ci si avvia a una chiusura dell’EuroStoxx 50 superiore al 4%.
Tutto finito e pronti a ricomprare azioni? “Sebbene i mercati stiano cercando di ricalibrare la propria esposizione alla ciclicità dopo i sell-off aggressivi, le preoccupazioni di fondo persistono, dato che la crescita del Pil statunitense dovrebbe essere ancora notevolmente inferiore a quella precedente agli aumenti tariffari”, avverte Rebekah McMillan, Associate Portfolio Manager del team Multi-Asset di Neuberger Berman.
“La dichiarazione di Trump ha acceso le speranze di evitare una guerra commerciale globale”, ha concesso il team di analisti di Ubs Wm guidato da Mark Haefele, ma “la volatilità di mercato è destinata a rimanere elevata nelle prossime settimane, mentre gli investitori valutano l’evoluzione rapida dei dazi e le implicazioni per crescita, inflazione, banche centrali e mercati”.
Bene, insomma, “la porta” aperta da Trump a “potenziali ‘accordi’ di riduzione delle tariffe per molti partner commerciali”. Tuttavia, “l’escalation tra Stati Uniti e Cina potrebbe avere un impatto drammatico sul commercio tra le due più grandi economie del mondo”, prosegue Ubs, che ricalibra il proprio obiettivo di fine anno per l’S&P 500 a 5.800 punti (dai 5.456,90 del 9 aprile).
Ragioni per essere cautamente ottimisti? Paradossalmente, proprio la consapevolezza che i dazi inizialmente introdotti dagli Usa sarebbero eccessivi per poter essere permanenti: “Chiaramente non ci sono garanzie con Trump, ma sembra incomprensibile che i dazi restino a livelli così devastanti, vista la portata delle implicazioni per l’economia Usa, che quasi certamente si troverebbe di fronte a una recessione”, commenta Matthew Ryan, Head of Market Strategy di Ebury.
Secondo gli economisti di Goldman Sachs, la parziale retromarcia dell’amministrazione Usa si tradurrà in “un incremento effettivo delle tariffe vicino ai 15 punti percentuali”. Un’impostazione protezionistica più moderata rispetto a quanto temuto nei giorni precedenti, che rilancia “la previsione base non recessiva, con crescita del Pil Usa allo 0,5% e tre tagli della Fed, con probabilità di recessione al 45%”, ha affermato Goldman in una nota del 9 aprile. Opinione condivisa anche da McMillan: “Nonostante i rimbalzi, la crescita Usa dovrebbe restare sensibilmente inferiore ai livelli pre-dazi”.