Cos’è il Cbam: un dazio ambientale, non protezionistico
Il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (anche noto come “Carbon border adjustment mechanism” o, più brevemente, Cbam,) rappresenta una delle misure più innovative adottate dalla Ue nell’ambito della transizione ecologica.
Da un punto di vista funzionale, si tratta a tutti gli effetti di un dazio doganale, ma nella sostanza ha una natura del tutto diversa da quella ritorsiva o protezionistica, di cui tanto si parla proprio in questi giorni, che spesso si associa a tale misura tariffaria.
A differenza dei tradizionali dazi doganali, il Cbam non mira a ostacolare il commercio, ma a correggerne gli effetti ambientali.
Perché nasce la tassa sul carbonio: obiettivi ambientali e concorrenza leale
Il Cbam nasce con l’obiettivo dichiarato di tutelare l’ambiente, il clima e la salute pubblica, garantendo al contempo una concorrenza leale tra le imprese operanti all’interno del mercato unico europeo (e – soprattutto verrebbe da dire – tra quelle esterne e quelle interne alla Ue).
Si tratta di uno strumento che, pur avendo la forma di un dazio, si distingue dai dazi tradizionali per trasparenza e finalità ambientali.
Una tariffa che intende raggiungere un obiettivo dichiarato: far sì che tutti rispettino i medesimi standard ambientali e umani elevati, su cui l’Europa ha scelto di fondare, peraltro, il proprio modello economico e sociale.
Vediamo più nel dettaglio i profili di funzionamento del Cbam.
Cos’è il Cbam e come funziona
Si tratta di un meccanismo di regolazione delle emissioni di carbonio incorporato nei beni importati nell’Unione europea. Introdotto con il Regolamento (Ue) 2023/956, mira a evitare il cosiddetto “carbon leakage”, ovvero lo spostamento della produzione industriale verso Paesi terzi con normative ambientali meno stringenti (o addirittura assenti).
Il funzionamento richiama quello dei dazi, ma con un approccio legato alla quantificazione delle emissioni e non al valore commerciale del bene.
Quali sono i prodotti soggetti al Cbam
Per quanto attiene al perimetro oggettivo del meccanismo, esso si applica a una serie di settori ad alta intensità carbonica – tra cui cemento, acciaio, alluminio, fertilizzanti, idrogeno ed elettricità – con l’obiettivo di estendersi progressivamente ad altri comparti.
In questa prima fase, i settori coinvolti sono quelli più esposti al rischio di concorrenza sleale dovuta all’assenza di dazi ambientali nei Paesi extra-Ue.
Emissioni, certificati e compensazioni: cosa devono fare le imprese
Gli importatori europei di beni provenienti da Paesi terzi sono tenuti a calcolare e dichiarare le emissioni di anidride carbonica incorporate nei prodotti acquistati, utilizzando dati verificabili forniti dai produttori esteri o, in mancanza, ricorrendo a valori standard stabiliti dalla Commissione europea.
A fronte delle emissioni così dichiarate, gli operatori dovranno acquistare uno specifico numero di certificati Cbam, il cui prezzo sarà direttamente collegato al costo medio settimanale delle quote di anidride carbonica nel sistema Ets europeo. È previsto un meccanismo di compensazione: qualora il Paese d’origine applichi già un sistema di carbon pricing, il relativo costo potrà essere detratto dal numero di certificati da acquistare così da evitare la duplicazione dell’onere ambientale.
Gli importatori dovranno essere registrati come dichiaranti autorizzati presso l’autorità nazionale competente e presentare annualmente una dichiarazione Cbam contenente tutti i dati richiesti.
In questo modo, il Cbam assume una funzione correttiva, più simile a un meccanismo di equilibrio ambientale che a uno dei dazi doganali classici.
La fase transitoria 2023-2025
Nella fase transitoria, attualmente in corso (2023–2025), è previsto un obbligo meramente informativo: le imprese devono comunicare le emissioni incorporate nei prodotti importati, senza ancora dover sostenere oneri economici.
Questa fase preparatoria è funzionale all’adattamento del sistema e alla raccolta di dati per l’implementazione definitiva prevista a partire dal 2026.
Cosa succede dal 2026: costi, controlli e registro centrale
A partire da tale data, entreranno in vigore anche gli obblighi di natura economica: le imprese saranno tenute a restituire i certificati Cbam in quantità proporzionale alle emissioni effettivamente dichiarate. I dati dovranno essere accompagnati da una verifica indipendente, svolta da organismi accreditati, al fine di garantirne l’accuratezza e la conformità.
Questo meccanismo rafforza l’idea che il Cbam non sia un dazio protezionistico, ma un modello nuovo, che ridefinisce il concetto stesso di dazi all’importazione.
Cbam e sistema Ets: cosa cambia per le imprese europee
È inoltre previsto che la Commissione europea istituisca un registro centrale Cbam, in cui saranno gestite le informazioni sui dichiaranti autorizzati, sulle quantità importate, sui certificati acquistati e restituiti.
Il monitoraggio sarà affidato alle autorità nazionali, in coordinamento con l’organo esecutivo dell’Unione.
Il meccanismo si inserisce in modo complementare nella riforma del sistema Ets: per i settori coperti dal Cbam, è previsto un graduale phase-out delle quote gratuite di emissione concesse alle imprese europee, proprio per garantire una parità di trattamento tra produzione interna e beni importati.
Infine, è in corso di valutazione l’estensione del Cbam a beni trasformati che incorporano materiali soggetti al meccanismo, al fine di evitare pratiche elusive lungo la catena del valore.
Un modello Ue potenzialmente globale e conforme al Wto
In ultimo occorre evidenziare che, nonostante alcune critiche di partner commerciali extra-Ue, il Cbam è stato concepito nel rispetto delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), fondandosi su obiettivi legittimi di tutela ambientale e salute pubblica, come riconosciuto dall’articolo XX del Gatt.
Così, stante questo ancoraggio agli standard multilaterali, il meccanismo appare giuridicamente fondato e sostenibile e potenzialmente esportabile quale modello globale di responsabilizzazione ambientale, distinguendosi dai dazi commerciali tradizionali proprio per finalità e struttura.
Cbam: una nuova visione dei dazi, tra ambiente e diritti
Il Cbam non rappresenta dunque in alcun modo uno strumento di chiusura commerciale, così come neppure una misura punitiva, sanzionatoria o ritorsiva destinata a Paesi terzi.
Al contrario, si tratta di un meccanismo giuridico ed economico ideato per salvaguardare e sviluppare ulteriormente un sistema di valori ambientali e sociali condivisi.
In altre parole, un dazio che, anziché tutelare meri interessi economici, si pone in discontinuità con i dazi del passato e difende il clima, la dignità umana e la salubrità ambientale quali beni comuni universali e diritti fondamentali dell’individuo.
(Articolo scritto in collaborazione con Rebecca Mariani, dottoressa magistrale in Giurisprudenza e gestione d’azienda, Università Cattolica del Sacro Cuore)