L’importanza del dibattito che si è sviluppato in materia di patent box è data dal fatto che si tratta di una norma di rilevanza strategica ai fini della politica economica del nostro paese
We Wealth ha intervistato Stefano Giuliano, Partner Tax dello Studio CMS
Proprio per questa ragione è opportuno riflettere sugli aspetti critici che caratterizzano la nuova disciplina, tentando di articolare, in dialogo con il Dott. Stefano Giuliano, Partner Tax dello Studio CMS, un confronto ragionato con il precedente regime.
“In estrema sintesi, da un punto di vista tecnico i due regimi sono concettualmente opposti in quanto uno opera sul lato redditi e l’altro sul lato costi. Il vecchio regime, infatti, concedeva una detassazione pari al 50% del reddito prodotto da taluni beni immateriali, mentre la nuova norma concede una deduzione aggiuntiva pari al 90% dei costi sostenuti per l’attività di ricerca e sviluppo. Al fine di comprendere appieno la portata dei due regimi credo sia importante sottolineare che la detassazione del 50% del reddito si applicava per tutti gli esercizi nei quali i beni immateriali producevano redditi, pertanto, ad esclusione di situazioni di beni immateriali a bassa redditività, dovrebbe essere sensibilmente più vantaggiosa della nuova.
Ulteriore differenza è rappresentata dall’inclusione dei marchi tra i beni immateriali che beneficerebbero della nuova disciplina. Sul punto, tuttavia, credo che sia prudente attendersi che tale inclusione sarà oggetto di vaglio da parte dell’Unione Europea. La nuova disciplina non è cumulabile con il credito per le attività di ricerca e sviluppo.”
– Alla luce dell’impossibilità di esercitare l’opzione per il precedente regime di patent box per il quinquennio 2021-2025, si pongono a suo avviso, come ha sostenuto Assonime (si veda circolare n. 30/2021), dei contrasti con lo Statuto dei diritti del contribuente? Se si, in relazione a quale disposizione e in che modo si articolerebbe detto contrasto?
“Credo che Assonime abbia correttamente indicato che l’attuale versione del decreto legge sia in violazione dello Statuto del contribuente il quale prevede che in relazione ai tributi periodici le modifiche introdotte si applichino solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono. Nel caso in esame, quindi, le modifiche alla disciplina avrebbero dovuto trovare applicazione solo dal 2022.
Qualora sia necessario aggiungere altro, si tenga presente che la modifica interviene ad esercizio pressoché finito e che le decisioni in materia di investimento in ricerca e sviluppo vengono generalmente prese dalle imprese con largo anticipo rispetto al sostenimento dei relativi costi. Mi spiego con un esempio: gli investimenti in ricerca e sviluppo da fare nel 2021 sono stati decisi dalle imprese già nel corso del 2020, se non prima, e sono stati decisi contando sulla presenza di un regime premiale per i risultati di tali attività. Per di più, il vecchio regime prevedeva che le imprese si dotassero di un sistema di tracciamento dei costi che in molti casi ha comportato l’implementazione di nuove procedure ed il sostenimento di ulteriori investimenti. Cambiare le regole del gioco a fine 2021 con efficacia 2021 significa non solo andare contro lo Statuto ma anche tradire il principio di legittimo affidamento. In un contesto internazionale che vede un’accesa competizione in tema di attrazione degli investimenti, soprattutto ad alto contenuto tecnologico, ciò non sembra possa essere privo di conseguenze.
Quanto all’efficacia della nuova disciplina rispetto alla vecchia, il dibattito internazionale che si è sviluppato in merito – da ultimo negli Stati Uniti – indica che sistemi del tipo “vecchio” patent box, in aggiunta ad incentivare l’investimento in ricerca e sviluppo, perseguono anche l’obiettivo di consolidare il patrimonio di proprietà intellettuali del paese, cosa che non sembra altrettanto vera nel caso di incentivi incentrati sui costi di ricerca e sviluppo.
Si tenga presente che consolidare o incrementare il patrimonio di proprietà intellettuali significa, fra le altre cose, dotare il paese di flussi di royalties in entrata piuttosto che dover sopportare flussi in uscita. L’impatto di ciò dovrebbe essere tanto evidente quanto importante, basti pensare che la differenza fra le due situazioni non è passare da più 100 a 0 bensì da più 100 a meno 100.”
“Quanto a come possa incidere l’abrogazione del patent box sul tax planning credo che la domanda debba essere quanto l’abrogazione del patent box inciderà sulla collocazione in Italia di attività di ricerca e sviluppo. Nessuno decide di fare attività di ricerca e sviluppo per ottenere agevolazioni fiscali, bensì tutti cercano di collocare le attività di ricerca e sviluppo in paesi che consentono di massimizzare il ritorno dell’investimento.
La disciplina transitoria prevista dal decreto è alquanto confusa e ci sono un considerevole numero di situazioni per le quali si fa fatica a dare una risposta al momento. La speranza è che in sede di conversione, qualora non ci sia un drastico ripensamento sulla modifica, si intervenga su tale disciplina per chiarire le numerose situazioni che si possono venire a creare.”
– Sono tanti gli aspetti che ancora devono essere chiariti e molti sono i nodi che emergeranno nel breve periodo, in particolare per quanto concerne gli aspetti applicativi. Ci sono dei punti su cui è necessario soffermare l’attenzione o porre l’accento?
“L’importanza del dibattito che si è sviluppato in materia è data dal fatto che si tratta di una norma di rilevanza strategica ai fini della politica economica del nostro paese. In virtù di ciò, visto che finora abbiamo parlato principalmente degli effetti sui destinatari della norma, mi sembra importante un breve commento relativamente agli effetti della modifica sul paese.
Viviamo in un’economia che tende a premiare sempre più i contenuti tecnologici ed oggi più che mai c’è un’agguerrita concorrenza in tema di attrazione degli investimenti. I maggiori paesi con cui ci confrontiamo hanno regimi simili al nostro vecchio patent box e l’evoluzione internazionale degli ultimi anni ha fatto si che tali regimi, così come il nostro abrogando patent box, siano ancorati allo svolgimento di una effettiva attività di ricerca e sviluppo in loco. A tal fine basti rammentare l’introduzione del concetto di “nexus” da parte dell’Ocse. Le difficoltà applicative della “vecchia” disciplina forse potevano essere risolte con interventi mirati alla semplificazione ed alla certezza della sua applicazione.
Pertanto, lascia perplessi la decisione di abrogare un regime che ha un forte potere attrattivo, sia delle proprietà intellettuali che delle sottostanti attività di ricerca e sviluppo, per sostituirlo con un altro che, dal lato ricerca e sviluppo rappresenta un’alternativa ad un altro regime già esistente (quello del credito), dall’altro dovrebbe avere un’efficacia sensibilmente inferiore quanto al mantenimento e all’accrescimento del patrimonio di proprietà intellettuali del paese.
Non è ancora troppo tardi per un ripensamento.”