L’indice Csi 300, dal 18 aprile al 23 maggio, ha perso il 5,46%, contro un +0,9% messo a segno dall’S&P 500 e un più blando ribasso dello 0,9% per l’Euronext 100
Fra le avvisaglie di una crescita cinese inferiore alle speranze si sono inseriti diversi indicatori, fra cui la produzione industriale, le vendite al dettaglio e il peggioramento degli indici Pmi
La riapertura della Cina e il rally azionario del Dragone sono stati uno degli argomenti caldi per gli asset manager a cavallo fa la fine del 2022 e l’inizio di quest’anno. Qualcosa, però, sembra essersi inceppato nel motore della ripresa cinese, dopo un primo trimestre che aveva mostrato una crescita del Pil superiore alle attese, al 4,5%. Proprio in seguito alla pubblicazione del dato sul Pil, lo scorso 17 aprile, l’azionario cinese ha perso decisamente slancio, mentre nelle settimane successive si susseguivano dati poco incoraggianti sulle tendenze più recenti dell’attività economica cinese. Il verdetto dei mercati azionari, per il momento, è il seguente.
L‘indice Csi 300, dal 18 aprile al 23 maggio, ha perso il 5,46%, contro un +0,9% messo a segno dall’S&P 500 e un più blando ribasso dello 0,9% per l’Euronext 100 (nello stesso periodo l’indice “vincente” è stato il Nikkei 225, con un rialzo del 9%). Chi avesse investito sull’indice di riferimento cinese all’inizio dell’anno avrebbe ottenuto, a oggi, una performance dello 0,65%, contro il +9,6% dell’S&P 500 e il +12,55% del Ftse Mib.
A testimoniare una generale riduzione dell’esposizione alla Cina è anche il cambio dello yuan sul dollaro, che da inizio anno ha perso il 2,25% – con un ribasso ancor più notevole del 5% rispetto al picco segnato lo scorso gennaio.
Cina, i dati che hanno deluso le attese
Fra le avvisaglie di una crescita cinese inferiore alle speranze si sono inseriti, lo scorso 15 maggio, i dati sulla produzione industriale di aprile, in aumento annuo del 5,6%, contro un consenso Reuters attestato al 10,9%; ma anche le vendite al dettaglio, pur aumentate del 18,4%, hanno mancato le previsioni per un rialzo pari al 21%.
E ancora, gli indici Pmi, che indicano le attese future dei direttori degli acquisti nei vari settori economici, hanno mostrato una generale contrazione ad aprile: in particolare, l’indice Pmi manifatturiero è passato in territorio negativo (da 51,9 a 49,2 punti) indicando l’attesa di un rallentamento degli ordini. L’indice Pmi non manifatturiero, nel frattempo, ha perso slancio da 58,2 a 56,4 punti.
Con queste spie accese sul cruscotto, alcune istituzioni finanziarie hanno iniziato a tagliare le attese sulla crescita cinese per fine anno: Barclays e Nomura si aspettano, rispettivamente, una crescita del 5,3 e del 5,5%, mentre fra i più ottimisti rimane Goldman Sachs, che continua a prevedere un tasso del 6%. Più o meno a metà strada, si attestano invece le previsioni del consenso Bloomberg, al 5,7%.
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Le contromosse che non arrivano
Mentre i dubbi dei mercati sull’andamento della ripresa cinese sono andati aumentando, le autorità cinesi non hanno dato segnali di voler intervenire con misure di stimolo per la crescita, in particolare a supporto della domanda interna.
Il 22 maggio, inoltre, la banca centrale cinese ha lasciato i tassi invariati, una mossa prevista dagli analisti alla luce delle pressioni ribassiste sulla moneta nazionale, che si svaluterebbe ulteriormente in caso di politiche monetarie più espansive.
“Prevediamo che il governo cinese varerà misure di stimolo per sostenere sia il settore manifatturiero sia quello dei servizi”, avevano scritto gli analisti di ING lo scorso 2 maggio, dopo i dati deludenti arrivati dagli indici Pmi di aprile, “una misura potrebbe essere la ripresa dei sussidi per i veicoli elettrici… l’altro potrebbe consistere nell’accelerare gli investimenti infrastrutturali, a sostegno dell’attività manifatturiera ed edilizia”. Il partito Comunista cinese, tuttavia, non ha ancora preso alcun provvedimento di questo tipo.
“In assenza di un vero e proprio stimolo economico, lo yuan si sta deprezzando, nonostante gli sforzi compiuti dalla banca centrale per arrestare la caduta della valuta attraverso la determinazione ufficiale dei prezzi”, ha dichiarato in una nota del 22 maggio Alexis Bienvenu, gestore di La Financière de l’Echiquier, secondo il quale la debolezza del mercato azionario cinese “riflette l’ambiguità della situazione economica”. Perché, nonostante i limiti del rimbalzo, la crescita cinese dovrebbe rappresentare un terzo della crescita globale del 2023, secondo le stime del Fondo monetario internazionale.
In questo momento, però, sui mercati pesano di più le revisioni al ribasso sulle attese, con il contributo di crescenti incertezze nelle relazioni internazionali di Pechino, che domenica scorsa ha, di fatto, risposto ai blocchi statunitensi sui chip varati l’anno scorso intimando le aziende cinesi di non acquistare più semiconduttori dalla statunitense Micron (per “minacce alla sicurezza nazionale”). La strategia statunitense, che punta a colpire le ambizioni militari di Pechino su Taiwan minando il suo accesso ai chip più avanzati, comporta rischi economici che anche gli investitori potrebbero dover mettere in conto.