La pausa di dazi e controdazi concederà un po’ di respiro alla Banca centrale europea, che potrà preparare con più calma i mercati alla prospettiva di riconsiderare in senso accomodante la politica monetaria dei prossimi mesi. Che nella riunione di giovedì arriverà un taglio dei tassi, appare ormai quasi scontato. I veri interrogativi sono: con quale intensità la Bce anticiperà l’impatto economico e potenzialmente disinflattivo dei dazi, e quanti tagli potrebbero seguire nei mesi successivi.
Dopo il cosiddetto “Liberation Day” americano e l’imposizione di dazi al 20% sulle importazioni dall’Ue – sospesi poi per tre mesi – i mercati e le banche d’affari hanno iniziato a prezzare almeno un taglio in più rispetto alle attese precedenti. Tra gli istituti che hanno rivisto al ribasso il tasso terminale atteso c’è Goldman Sachs, che ora prevede ulteriori tagli da 25 punti base a giugno, luglio e settembre, con un deposit rate finale all’1,5%. Uno scenario base a cui assegna una probabilità del 50%, con rischi leggermente sbilanciati verso l’alto (più probabile un 1,75% che un 1,25%).
“Le prospettive di crescita a breve termine si sono deteriorate significativamente dopo l’annuncio del 2 aprile dei dazi ‘reciproci’ da parte degli Usa, nonostante la successiva indicazione di una pausa di 90 giorni sui dazi mirati, annunciata il 9 aprile”, scrivono gli analisti di Goldman. “Ora prevediamo che il tasso effettivo dei dazi Usa sui beni Ue aumenti di 15 punti percentuali (anziché 20 con piena applicazione)”. L’impatto stimato sulla crescita dell’Eurozona nel 2025 è di un ulteriore -0,2%, portando l’effetto complessivo dei dazi a un -0,9% sul Pil.
Bce, potrebbe citare il rischio di inflazione sotto il 2%
Anche secondo Bank of America, “una semplice revisione basata sui prezzi energetici attuali potrebbe portare le nostre stime sull’inflazione per il 2026 sotto l’1,5%. Riteniamo quindi che il rischio di un’inflazione inferiore al target sarà al centro della discussione, così come la necessità di stimolare l’economia”. Prospettive di inflazione più debole sostengono l’ipotesi di tagli più robusti ai tassi, utili per sostenere l’economia e garantire costi di rifinanziamento più bassi agli Stati membri, proprio mentre crescono le esigenze di spesa strategica.
Tuttavia, secondo BofA, “la pausa sui dazi reciproci riduce l’urgenza percepita dal Consiglio direttivo nel segnalare chiaramente questa necessità”. Con una Bce ancora spaccata tra toni da falco (Holzmann) e da colomba (Stournaras), potrebbe prevalere un’impostazione attendista, che lasci comunque “aperta la porta a ulteriori tagli”, come osservano gli analisti della banca americana.
Nel leggere tra le righe della conferenza stampa di Lagarde, due appaiono le opzioni principali: la più esplicita sarebbe “affermare che i rischi di un’inflazione inferiore al target sono oggi maggiori di quelli di un surriscaldamento”; ma, secondo BofA, è più probabile un approccio implicito, riconoscendo che i rischi per l’inflazione sono ora orientati verso il basso. Inoltre, Lagarde potrebbe ammettere che si è discusso della futura necessità di stimoli economici, precisando che la decisione sarà legata alle nuove previsioni attese a giugno.
Anche per Goldman Sachs, Lagarde esprimerà maggiore preoccupazione per la crescita a causa delle tensioni commerciali, ma senza impegnarsi su ulteriori mosse di politica monetaria. Potrebbe però suggerire che l’apprezzamento dell’euro e l’approccio cauto dell’Ue sulle contromisure abbiano attenuato le preoccupazioni sull’impatto inflazionistico dei dazi.
Sul piano della comunicazione formale, sia BofA sia Goldman prevedono la rimozione della dicitura secondo cui la politica monetaria è diventata “significativamente meno restrittiva”, frase che in precedenza aveva lasciato intendere un possibile rallentamento nel ritmo dei tagli.
Una visione più prudente sul livello finale dei tassi arriva invece da Nomura, secondo cui “i dazi statunitensi rappresenteranno un ostacolo immediato significativo, ma gli annunci fiscali della Germania e di altri Paesi Ue costituiranno un sostegno rilevante nel medio termine”. Per questo, “la politica monetaria della Bce si trova attualmente sull’orlo della neutralità” e sono previsti due soli tagli da 25 punti base, ad aprile e giugno, con tasso terminale al 2%.
Guardando alla riunione di giugno, Goldman prevede una significativa revisione al ribasso delle previsioni dello staff su crescita e inflazione, con un nuovo taglio ai tassi altamente probabile. “Prevediamo poi che il Consiglio direttivo prosegua con un altro taglio a luglio, in un contesto di inflazione in rallentamento e crescita in indebolimento. Dopo la nostra più recente revisione delle stime — che prevede una contrazione nel terzo trimestre e un’inflazione inferiore al target nel 2026 — abbiamo aggiunto un ulteriore taglio a settembre, portando il tasso terminale all’1,5%”.
Obbligazionario più attraente, azionario più cauto
Dal punto di vista operativo, il rallentamento atteso dell’inflazione nell’Eurozona rende più interessanti i rendimenti dei titoli di Stato. “La media ponderata per il Pil dei rendimenti reali decennali è salita di 8 punti base dal 2 aprile, superando i livelli raggiunti durante l’ultimo ciclo di rialzi Bce”, osserva BofA. In pratica, anche con un rendimento nominale più basso, oggi conviene di più mettere in portafoglio bond governativi, proprio per l’effetto positivo sul rendimento reale.

Il rovescio della medaglia è una minore propensione al rischio azionario. A marzo, lo State Street Risk Appetite Index è sceso a -0,09, segnalando un approccio più cauto e difensivo da parte degli investitori. Nel periodo monitorato, i deflussi dalle azioni sono stati compensati da afflussi verso obbligazioni e liquidità, rispettivamente per lo 0,4% e lo 0,35%.