Alla ricerca della liquidità nascosta: ecco le 5 alternative alla banca

Rita Annunziata
26.5.2021
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Esiste un tesoretto, già in pancia alle aziende, inutilizzato: è il credito di filiera che l'Osservatorio del Polimi stima valere in Italia tra i 450 e i 490 miliardi di euro

A rischio chiusura circa 300mila imprese solo del commercio al dettaglio non alimentare e del terziario di mercato, 240mila delle quali come conseguenza diretta proprio della crisi di reddito e di liquidità

Evidenziato un brusco crollo dell’anticipo fattura, che nel 2020 scivola a quota 44 miliardi di euro (-33% sul 2019). Lo stesso vale per il factoring diretto, che riflette il calo dei volumi transati nei mesi di picco della pandemia

Secondo Federico Caniato le soluzioni di supply chain finance sono uno strumento più avverso al rischio e di più veloce attuazione. E l’operazione è “assolutamente apprezzata” anche dagli operatori finanziari

Il credito tradizionale, a un anno dallo scoppio dell'emergenza pandemica, sembrerebbe non essere stato in grado di colmare quella sete di liquidità di breve termine che continua a frenare la ripresa del tessuto imprenditoriale italiano. Così, secondo gli ultimi dati presentati da Confcommercio in audizione dinanzi alle commissioni riunite di bilancio, finanza e tesoro del Senato, a rischio chiusura sono ancora circa 300mila imprese solo del commercio al dettaglio non alimentare e del terziario di mercato, 240mila delle quali come conseguenza diretta proprio della crisi di reddito e di liquidità. In questo contesto gli aiuti emergenziali, dispiegati dal governo Conte prima e dall'esecutivo Draghi poi, non rappresentano l'unica soluzione, né, probabilmente, la migliore. Esistono alcuni strumenti di finanziamento del circolante che potrebbero rivelarsi un'oasi strategica per una migliore gestione del rischio e un aumento della resilienza. Specialmente in una logica di supporto alla filiera. Anche e soprattutto in vista del ritorno a un'operatività normale che potrebbe tardare ma essere più vicina di quanto si pensi.
Secondo un'indagine di Duff & Phelps condotta su un campione di oltre 100 figure manageriali ai vertici di aziende attive nei principali settori produttivi del Paese, oltre il 39% stima un ritorno del giro d'affari ai livelli pre-crisi già nel 2021, contro il 40 e il 20,9% di scettici che sospettano di dover attendere ancora rispettivamente due anni e oltre. Se fosse vero che già nel corso di quest'anno le imprese dovessero tornare ai livelli di fatturato pre-crisi, è chiaro che dovrebbero avere a disposizione liquidità da investire. Dove trovarla? La risposta è contenuta nell'ultimo Osservatorio della School of management del Politecnico di Milano sulla supply chain finance, il cui mercato potenziale ha toccato lo scorso anno tra i 450 e i 490 miliardi di euro. Sebbene il valore esatto dipenderà dalle performance di incasso e pagamento delle imprese, dati preliminari indicano che il mercato servito potrebbe sfiorare i 120 miliardi di euro (pari al 24-27% del potenziale), con un'evidente crescita delle opzioni innovative. Ergo, oltre 300 miliardi di euro restano dormienti, ma sono cassa potenziale a disposizione delle imprese.

“In termini di miliardi finanziati, le soluzioni ancora più utilizzate restano quelle tradizionali, perché sono anche quelle più note, come il factoring e l'anticipo fattura. Ma le soluzioni più innovative, che partivano da valori più bassi, hanno conosciuto tassi di crescita decisamente più significativi”, spiega Federico Caniato, direttore dell'Osservatorio supply chain finance della School of management del Polimi. Nel dettaglio, si evidenzia un brusco crollo dell'anticipo fattura, che nel 2020 perde il primato tra le soluzioni più utilizzate e scivola a quota 44 miliardi di euro (-33% sul 2019). Lo stesso vale per il factoring diretto, che riflette il calo dei volumi transati nei mesi di picco della pandemia e la predilezione degli imprenditori per strumenti maggiormente orientati alla filiera, portandosi sui 55 miliardi (-8%). Col segno più soluzioni più innovative come il reverse factoring (7,5 miliardi di euro, +13%), il confirming (800 milioni di euro, +7%), l'invoice trading (300 milioni di euro, +20%) e il dynamic discounting (100 milioni di euro, +500%). “Si è continuato a usare anche le carte di credito B2B come strumento di pagamento ma anche per concedere dilazioni a fornitori e clienti, mentre sono rimaste abbastanza stabili soluzioni come il finanziamento dei magazzini e il finanziamento sull'ordine, non ancora su valori particolarmente significativi”, aggiunge Caniato.
Ma perché le piccole e medie imprese privilegiano oggi questa tipologia di canali? Qual è il loro valore aggiunto rispetto al credito tradizionale? “Il problema del credito bancario è sempre lo stesso. Le pmi partono svantaggiate perché, per le loro dimensioni e la loro struttura economico-finanziaria, sono considerate più rischiose e pagano tassi più alti rispetto a quelle di maggiori dimensioni. Inoltre, i finanziamenti bancari hanno tempi di erogazione più lunghi. E anche i prestiti garantiti non hanno facilitato più di tanto l'accesso al credito, perché prevedevano processi di istruttoria strutturati”, continua l'esperto. Le soluzioni di supply chain finance, aggiunge, sono invece uno strumento più avverso al rischio e di più veloce attuazione. L'operazione è “assolutamente apprezzata” anche dagli operatori finanziari e, se poi è posta in essere tramite piattaforme digitali, le procedure risultano semplificate e i tempi snelliti. “È chiaro che il supply chain finance non sostituisce in toto il mondo bancario, ma è uno strumento che supporta le imprese, in aggiunta ad altri”, precisa Caniato.

“Nel 2020 le soluzioni di supply chain finance hanno giocato un ruolo importante anche per supportare le imprese esportatrici colpite dal covid”, aggiunge Antonella Moretto, a sua volta direttore dell'Osservatorio supply chain finance, in occasione della presentazione del rapporto. “Hanno superato i confini geografici, ma anche quelli dimensionali e di lontananza nella filiera: durante la pandemia, sono state sviluppate soluzioni deep-tier financing per servire l'intera supply chain, a valle e a monte, portando sollievo finanziario a chi maggiormente ne ha bisogno. A differenza della crisi del 2008, gli operatori hanno immediatamente compreso che nella crisi di liquidità la filiera andava protetta e numerose soluzioni per dare sostegno e liquidità sono state rivolte anche a clienti e distributori. La sfida ora è aumentare il livello di consapevolezza e passare da una gestione della catena a una vera e propria gestione dell'ecosistema”, conclude Moretto. Sebbene infatti la vendita a credito sia diventata uno strumento commerciale fondamentale anche per competere sui mercati internazionali, più della metà delle imprese tricolori faticano ancora a coglierne i vantaggi: il 54% dichiara di non conoscere tali soluzioni, il 22% le impiega solo nel mercato nazionale e unicamente il 24% le utilizza nelle operazioni di export. Ma, per chi ha saputo aggrapparvisi, hanno rappresentato una leva strategica della resilienza, nell'anno della crisi. Aiutando il 25% a stabilizzare o incrementare il fatturato estero e il 22% a riavviare le proprie attività, localmente o al di fuori dei confini nazionali.

Cinque vie alternative al credito bancario


Reverse factoring e confirming


Il reverse factoring è una modalità operativa del factoring in cui un cliente di elevato merito creditizio avvia una partnership con un “factor” per agevolare la cessione delle fatture dei propri fornitori strategici (anche imprese di piccole dimensioni), che a loro volta sfruttano il merito creditizio del cliente per ottenere prezzi più bassi rispetto alla modalità “diretta”. Come tutti gli strumenti di supply chain finance, si tratta di una soluzione a breve termine. Sulla stessa linea d'onda anche il confirming, che gode di una maggiore flessibilità perché può essere utilizzato anche con un unico fornitore (differentemente dal reverse factoring che si applica a tutta la filiera). Tra i principali player del settore, si segnalano Unicredit factoring, Intesa Sanpaolo, Crédit Agricole e Santander.

Dynamic discounting


Per coprire la coda lunga della base di fornitura, vale a dire attori con cui sono in corso rapporti sporadici e fatture di piccole dimensioni, c'è il dynamic discounting. Si tratta di una soluzione tecnologica che permette di caricare la fattura su una piattaforma (come C2fo, FinDynamic e PlusAdvance) sulla quale, in caso di emergenza di liquidità, il fornitore può richiedere uno sconto al buyer indicando con quale anticipo vorrebbe essere pagato. Di contro, il buyer che dispone di liquidità in eccesso indica la quantità che è disposto a mettere sul piatto e il ritorno desiderato. Uno strumento di business altamente flessibile, anche se i tassi d'interesse potrebbero talvolta risultare elevati (a seconda dell'accordo raggiunto tra le parti per ciascuna transazione).

Invoice trading


Si tratta di un “marketplace” basato su una piattaforma tecnologica (tra le altre CashMe, Credimi, Workinvoice e Incassa subito) che consente a terze parti di investire nelle fatture emesse dalle aziende. Un meccanismo adatto anche a importi limitati: le pmi che intendono cedere le proprie fatture commerciali per ottenere liquidità anticipata possono caricarle e indicare con quanto anticipo intendono pagarle e quale tasso d'interesse si è disposte a mettere sul piatto. Un parametro che dipende anche dal merito creditizio.

Carte di credito


Una soluzione che prevede l'utilizzo di una carta di credito “virtuale” per una gestione semplificata dei pagamenti tra fornitore e cliente. L'obiettivo, si legge nell'ultimo rapporto dell'Osservatorio supply chain finance della School of management del Politecnico di Milano, “è trasformare un sistema di pagamento in uno strumento di ottimizzazione del circolante”. Tra i principali operatori si segnalano Nexi, American Express e Diners Club che, nel B2B, consentono di utilizzare tali soluzioni per concedere dilazioni a fornitori e clienti. Una linea di finanziamento aggiuntiva rispetto al credito bancario e che non compare in centrale dei rischi.

Inventory finance


Per le imprese che hanno un costo del magazzino elevato, come quelle che producono beni con un periodo di stagionatura molto lungo (il caso tipico è quello del Parmigiano Reggiano, del Grana Padano o del prosciutto di San Daniele), corre in soccorso l'inventory finance. La scorta viene utilizzata come garanzia attraverso un accordo con un attore bancario o fintech (come Credem o Crédit Agricole, ma anche Supply@ME del gruppo AvantGarde) definendo la quota di magazzino che viene impegnata. In altre parole, viene calcolato il valore di mercato del bene al termine del periodo di finanziamento e, su quel valore, viene riconosciuta una liquidità anticipata. Quando i prodotti vengono venduti, viene restituito il capitale prestato meno gli interessi riconosciuti alla banca.

 

Articolo tratto dal magazine We Wealth di maggio 2021
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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