A fine 2002, Berra aveva 36 milioni e nel 2003-2004 gli sembrava impossibile arrivare a 50 milioni. Ora ha superato quota 1 miliardo di euro
Il segreto? Condivisione del lavoro in team e crescita dei giovani professionisti. Se c’è un buon clima e se tutti hanno lo stesso tipo di obiettivo, il team funziona
Berra a chi si è ispirato per raggiungere questa soglia critica e dove vorrebbe arrivare?
Quando sono entrato in Fideuram, nel 2002, mi è venuto naturale andare a guardare chi avesse dei buoni risultati per cercare di capire quale fosse il suo segreto. Il mio esempio è stato il mio collega, nonché amico, Salvatore Protase, che mi ha dato diversi spunti operativi che mi sono serviti per arrivare fin qui. Già all’epoca, infatti, lui parlava di team, ma la mia ispirazione parte dagli Stati Uniti e dal modello americano. Ho fatto, infatti, qualche viaggio negli Usa per capire come funzionasse là la consulenza finanziaria. Loro sono avanti anni luce rispetto a noi e da loro c’è sempre stata questa abitudine di lavorare in team e di condividere i risultati con la squadra. Un modello che è molto simile a quello che faccio io, ma che è molto diverso dallo standard italiano. La mia figura oggi è più vicina a quella di un family office che a quella di un consulente finanziario “normale”: basti pensare al solo fatto di condividere in team una posizione di un cliente; comportamento che altri colleghi non fanno per gelosia e paura di poter perderne il controllo.
E poi?
A fine 2002, avevo 36 milioni e nel 2003-2004 mi sembrava impossibile arrivare a 50 milioni. Sono partito da quella base e da lì ho sviluppato i clienti che avevo conosciuto nelle mie precedenti esperienze bancarie. Poi il resto è stato frutto della presentazione dei miei clienti, del mio carattere e della mia curiosità. Fattori che mi hanno portato ad arrivare dove sono: una persona che va al di là del singolo consulente finanziario, con il quale si può parlare di tantissime tematiche, che vanno dalla compravendita societaria, agli immobili, al passaggio generazionale, e così via. Soprattutto negli ultimi anni, il tema che sto cavalcando e che mi sta portando grosse masse è quello degli investimenti nell’economia reale: private equity, venture capital startup, club deal etc. Si tratta di un mondo incredibilmente affascinante dove c’è tantissimo spazio. In Italia, sotto questo punto di vista, siamo un po’ arretrati rispetto agli altri paesi: questo però significa che c’è spazio sia nei portafogli dei clienti sia nell’ambito di attività dei consulenti finanziari. Il problema è che manca cultura e, sotto questo punto di vista, io sto cercando di portare sempre nuovi prodotti.
Ora? Ho superato la soglia del miliardo, ma non ho alcuna intenzione di sedermi. Il modello vincente che si è dotato Fideuram è sicuramente quello della condivisione in team e dell’inserimento dei giovani. Sto crescendo col mio team, il lavoro mi piace e quindi finché ci sarà la possibilità di crescere guarderò sempre avanti. Quando ho iniziato questo lavoro ero completamente da solo; ma già dopo un paio di anni ho capito che avevo bisogno di un aiuto. Ora siamo una squadra formata da 8 componenti e non è detto che a fine anno non ci sia qualcuno in più. Oltre a me, adesso il mio è composto da tre collaboratrici (Laura Benatti, Jessica Izzo e – scommessa nelle scommesse – mia moglie) e da quattro consulenti (Raimondi Marco, Mattia Cavattoni, Davide Cardillo e Luca Ferrari).
Com’è cambiata la consulenza finanziaria in questi anni?
La consulenza è cambiata radicalmente perché quando ero in banca, di fatto si doveva rispettare il budget di vendita. Spesso e volentieri, però, quello che dovevo vendere non era quello di cui aveva bisogno il cliente. Ma eravamo giudicati soprattutto per questo aspetto e se c’era la possibilità di poter fare carriera in banca era sui budget di vendita. A un certo punto, io non ce l’ho più fatta, perché la faccia con i clienti ce la mettevo io e questa è stata una delle motivazioni che mi ha portato a cambiare. Col senno di poi ho capito che oggi sono un imprenditore: quando conosco un cliente in automatico gli applico le migliori condizioni possibili perché semino su questo cliente; non lo acquisisco per tenerlo sei mesi, ma per tenerlo con me tutta la vita e poi cerco sempre di capire quelle che sono le sue esigenze in modo da potergli dare del valore aggiunto.
In realtà, anche prima mi comportavo da imprenditore, ma avevo poco a disposizione. Oggi ho una gamma prodotti incredibile, possiamo far sottoscrivere ai clienti qualsiasi tipo di strumento quotato e se non c’è quel singolo prodotto ce n’è sicuramente uno simile con le stesse caratteristiche. Inoltre, ho possibilità di fare operazioni che prima non erano neanche immaginabili e ho una struttura bancaria che mi permette di poterlo realizzare sia direttamente all’interno di Fideuram, sia all’interno del gruppo Intesa Sanpaolo.
Quanti clienti ha e riesce a seguire?
Circa 600-700 nuclei familiari, imprese incluse, e grazie al mio team riusciamo a seguirli tutti con attenzione, tempismo e prontezza. I clienti sanno, infatti, che ci sono sempre io come responsabile del team, ma è chiaro che la differenza la fa il gruppo. Il team aiuta moltissimo perché riusciamo a dare lo stesso tipo di attenzione a tutti e questo non è banale, perché aldilà dello sviluppo commerciale (a me piace sempre conquistare fiducia nei nuovi clienti) è importantissimo essere in grado di mantenere quella stessa fiducia nel corso del tempo, garantendo sempre un alto servizio: quindi è importantissimo, per esempio, quando arriva una email una chiamata rispondere con attenzione entro fine giornata, dando soddisfazione al cliente. Ovviamente tutti i componenti del team beneficiano dell’andamento complessivo: a loro, infatti, viene riconosciuto, in termini di percentuale, una parte delle management fee e una parte del bonus. Il segreto? Se c’è un buon clima e se tutti abbiamo lo stesso tipo di obiettivo, il team funziona bene.
Che cosa chiedono oggi i clienti e quale dovrebbe essere l’asset allocation ideale?
Oggi, i clienti cercano un’alternativa al mondo obbligazionario che non esiste più. Dove? Soprattutto nell’economia reale, quindi nel private equity, venture capital, startup, club deal etc. Il peso dell’economia reale nei portafogli Fideuram penso che sia, in media, sotto l’1%, probabilmente nei miei saremo tra il 5 e il 10%. Il mio obiettivo è di portarmi al 20-25% nei prossimi 5 anni e la maggior parte delle opportunità ci saranno proprio sul mercato italiano. L’investimento nell’economia reale permette al cliente di avere un’ottica temporale più lunga e di non essere legato alla volatilità dei mercati; in termini di rendimento, dato che c’è una parte di rischio in più, anche l’aspettativa di ritorno sarà più alta. In base all’idea del cliente noi componiamo il portafoglio in modo che sia sempre sostenibile nel tempo. Oggi, comunque, nei miei portafogli la parte equity è del 40- 45%, poi un 5-10% va sull’economia reale, mentre il restante 50% è legato a forme di investimento di decorrelazione, effettuate con una vasta gamma di strumenti, come etf o fondi che possono andare contro il mercato, gestioni patrimoniali, materie prime, diversificazione valutaria ect.