Quanto sono difficili da gestire i “no”? Un venditore ha appena spiegato per filo e per segno tutti i vantaggi che il cliente conseguirà utilizzando il prodotto offerto, eppure si sente dire: “Non so… ci devo pensare”. Pensare a cosa? Ti ho appena suggerito la soluzione ai tuoi problemi!
Anche una mamma deve mantenere una calma imperturbabile stile Buddha nella posizione del Loto quando il figlio adolescente le chiude in faccia la porta della sua cameretta (sbattendola, ovviamente) e borbottando un lamentoso “Dopo” (un dopo che non arriverà mai) alla richiesta di mettersi a fare i compiti.
E un dipendente sperimenta frustrazione e rassegnazione quando, pur esponendo al proprio capo i problemi che conseguono dall’attuazione dei protocolli aziendali e proponendo un modus operandi diverso, si sente rinfacciare dal superiore: “Abbiamo sempre fatto così!”.
Di fronte a situazioni di questo tipo, spesso ci si rassegna all’idea che la persona difficilmente riesca a cambiare il suo “no” per un “sì” e allora si accetta il rifiuto come definitivo. Si cerca un nuovo cliente più persuasibile, ci si prepara al colloquio con l’insegnante di proprio figlio e si continua inesorabilmente a mettere in pratica gli obsoleti e inefficienti protocolli aziendali.
Ma siamo davvero sicuri che non si possa provare a strappare un “sì” anche di fronte al più secco dei “no”?
Gli esperti di vendita affermano che quando un potenziale cliente dice “no”, quella è un’ottima occasione per chi propone, perché in quel momento può approfittare delle resistenze del possibile acquirente per approfondirle una ad una sul piano razionale. Addirittura, molti venditori anticipano i possibili “no” prima ancora che sia il cliente a farlo, e confutano sul piano razionale ogni obiezione prima che sia il cliente a farlo.
Che si tratti di vendita, di ambiente lavorativo o di relazione familiare, ci sono tre facili passi che si possono sempre applicare per aumentare la propria assertività.
1) Capire le vere origini del “no”
Punto numero uno: ascolto e comprensione. Chi dice “no” è mosso sicuramente da qualche motivo e sta a noi comprenderne le origini.
A volte chi rifiuta qualcosa ha i suoi buoni motivi per farlo, le sue ragioni, i suoi valori. Altre volte, invece, si può dire no per paura, per insicurezza, per pigrizia, per comodità.
Nel primo caso, il “no” va accettato, e il solo fatto di comprenderne l’origine ci farà vivere meglio il diniego dell’altro. Ci viene in aiuto la Domandologia, l’arte di fare domande che estraggono informazioni a noi utili.
Quando invece il “no” è frutto di paura, pigrizia o quant’altro, allora è chiaro che diventa un problema non solo per noi, ma anche per l’altra persona. Ed è a quel punto che possiamo passare al prossimo passaggio.
2) Preannunciare le conseguenze del “no” e anche quelle di un possibile “sì”
Un “no” pronunciato per timore (paura), non è un “no” consapevole, e potrebbe essere negativo anche per chi lo sostiene. Ecco che allora il nostro compito può essere quello di aiutare l’altro a vincere questa sua resistenza attraverso il dialogo. Quello che possiamo fare è preannunciare le conseguenze del suo “no” e, allo stesso tempo, anticipare i vantaggi che arriverebbero da un “sì”.
Tutto questo viene fatto sul piano razionale, meglio se creando empatia e utilizzando un linguaggio vicino a quello della persona con cui si interagisce. Se poi conosciamo bene la persona con cui dialoghiamo (perché si tratta di nostro figlio o del nostro capo o del nostro collega con cui lavoriamo da anni), allora ci è anche più facile conoscere le sue paure e le sue ambizioni, e fare leva ora sulle prime e ora sulle seconde.
Un cliente che non compra perché dice che il prezzo è alto, potrebbe effettivamente non avere i soldi, ma potrebbe anche semplicemente avere paura di spendere senza garanzie sulla validità dell’investimento, pur avendo la liquidità necessaria. In questo secondo caso, la paura può essere facilmente smontata se si fa riflettere il cliente sul “costo” in termini di energie, di tempo e a volte anche economico se lui continua a fare come ha sempre fatto. Quanto costa installare i pannelli solari sul tetto dell’azienda e rendere l’intera sede energeticamente autonoma? Certo si parla di diverse migliaia di euro. Ma quanto costerebbero cinque o sette anni di bollette elettriche? Sicuramente di più!
3) Riproporsi in modalità “win-win”
Una volta elencati vantaggi e svantaggi dell’agire e del non agire, possiamo ripresentare la nostra proposta (che sia una vendita, che sia l’invito a fare i compiti o che sia l’attuazione di una nuova modalità operativa) facendo leva sui vantaggi che comporta accettare la nostra proposta.
Prendiamo ad esempio un capo che nega al proprio dipendente di applicare una nuova modalità operativa. Lui ragiona probabilmente secondo l’idea per cui non vuole perdere tempo: sperimentare un processo diverso implica il rodaggio di alcuni meccanismi, oltre al fatto di uscire dalla propria zona di comfort.
Con il vecchio metodo, invece, si sa già quanto tempo serve. E anche se ne serve tanto, beh, si è sempre fatto così. In questo caso, il dipendente deve riuscire a esaltare le problematiche insite nel vecchio sistema di cui il capo sarà sicuramente a conoscenza (anche se prova a sminuirne) e, allo stesso tempo, rassicurare il capo sul fatto che l’applicazione di un nuovo sistema è semplice. Si può anche mediare sull’idea di provare una sola volta il metodo nuovo, allo scopo di abbassare la resistenza al cambiamento da parte del capo (“Non voglio cambiare per sempre, ma solo una volta, tanto per vedere…”). Si può elencare i vantaggi dell’agire in modo più sistematico e, se il capo è particolarmente sensibile all’aspetto economico, si può anche presentare una stima di quanto si possa risparmiare o guadagnare applicando il nuovo metodo. Ovviamente più si è precisi nelle stime e più si è convincenti.
Proporre una modalità “win-win” vuol dire sapersi mostrare pronti all’ascolto dell’altro e fargli comprendere che c’è una possibilità migliore di quella da lui immaginata. Le persone non amano essere convinte, ma amano essere aiutate.
Insomma anche i “no” posso rappresentare un passo in avanti, se ben gestiti.