Germania: ecco la stretta sulle filiere produttive

L’adesione su base volontaria delle aziende europee alla due diligence sociale e ambientale ha finora dato scarsi risultati. Ecco perché una nuova proposta di legge in Germania punta a renderla obbligatoria. Una morsa che ha un nobile obiettivo: essere da esempio per gli altri paesi

In Germania la stretta Esg ha un nome e un cognome: filiere produttive. Se il momento è arrivato per cominciare ad agire per il futuro del pianeta, è bene che si parta (anche) dalle supply chain delle aziende. Un recente studio di Scope Ratings dimostra infatti come questa influisca per circa il 41% dell’intero impatto Esg di un’impresa e fino al 59% del suo impatto ambientale negativo.
Ma in cosa consiste la proposta della Germania? Potrà essere una fonte di vantaggio competitivo per le aziende? E come influenzerà le scelte degli investitori? Se ne è occupato Andrea Carzana, Gestore di portafoglio, azioni europee di Columbia Threadneedle Investments.

La proposta della Germania: filiere produttive più Esg

È in corso di revisione al Parlamento tedesco una nuova proposta di legge che mira ad alzare gli standard di due diligence Esg nelle filiere produttive delle sue aziende. “Finora il governo tedesco si è affidato a un sistema di autoregolamentazione, ossia sull’adesione volontaria delle imprese agli standard ecologici e sociali lungo le catene di approvvigionamento”, spiega Carzana. Ma nel 2018 è stato chiaro quanto la base volontaria fosse debole e inefficace: “in un sondaggio che ha coinvolto 2,250 aziende tedesche, solo 455 sono state in grado di fornire risposte adeguate ai criteri Esg, una chiara dimostrazione che il sistema non funziona”. Come intervenire, quindi?
“La nuova proposta di legge impone alle grandi aziende di rivelare le loro filiere produttive, con l’obiettivo di garantire una maggiore protezione dei lavoratori e dell’ambiente. Prevede inoltre un intervento diretto del governo a difesa dei diritti umani nelle filiere produttive globali e attua i Principi guida per le imprese e i diritti umani adottati nel 2011 dalle Nazioni Unite”. Se la proposta passasse, la Germania diventerebbe il paese europeo con la normativa più stringente dopo il Regno Unito (è del 2015 il Modern Slavery Act), Francia (la legge Devoir de Vigilance del 2017) e Paesi Bassi (dello scorso anno, la Child Labour Due Diligence Law).

Il buon esempio per l’Europa

Con questa nuova legge la Germania si impegna a realizzare “un modello socioeconomico che può essere un modello per l’economia mondiale”, come ha affermato il Gerd Müller, ministro della cooperazione economica e dello sviluppo. E l’Unione Europea sembra già averne colto l’esempio: una proposta della Commissione Europea mira a rendere obbligatoria dal 2021 la due diligence per i diritti umani (proprio con in Germania, l’adesione volontaria non ha dato finora i risultati sperati).

Come una supply chain più Esg favorisce l’investitore

Se è vero che una due diligence obbligatoria potrebbe aumentare i tempi, i costi e gli sforzi produttivi delle aziende, è anche vero che “le imprese con filiere produttive solide e affidabili presentano un vantaggio: sono più competitive nei loro rispettivi mercati. Si tratta di un fattore di differenziazione sempre più significativo in tutti i settori”, aggiunge Carzana.
Tracciabilità e affidabilità significano anche maggiore trasparenza, che “aiuta gli investitori a prendere decisioni più consapevoli”. Ma anche le aziende ne beneficiano: “le società caratterizzate da una filiera produttiva sostenibile ed equa sono meno esposte al rischio di tensioni lungo le catene di produzione, il che può tradursi in migliori performance a lungo termine” (senza considerare i disastrosi effetti in termini reputazionali degli scandali a tema Esg).

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