C’è un segmento del private equity che, silenziosamente, sta cambiando le regole del gioco. Lontano dai riflettori delle operazioni primarie e delle grandi IPO, i mercati secondari stanno guadagnando spazio e attenzione tra investitori sofisticati e gestori patrimoniali. Un tempo residuali, oggi rappresentano una leva strategica per ottenere liquidità, accedere a portafogli maturi e diversificare l’esposizione in modo più efficiente. In un contesto in cui l’uscita dagli investimenti è spesso rallentata da fattori macroeconomici e dinamiche di mercato, la capacità di manovrare con agilità su asset illiquidi diventa un vantaggio competitivo. E il secondario, sempre più strutturato, si presenta come la strumento ideali per farlo. Ne parliamo con Edouard Boscher, Head of Private Equity di Carmignac.
La maturazione naturale di un mercato privato
Nel confronto con i mercati quotati, dove la maggior parte delle transazioni è di natura secondaria, il private equity è rimasto a lungo ancorato a logiche primarie, legate alla raccolta di nuovi capitali e al finanziamento diretto delle imprese.
“Tuttavi – spiega Boscher – la crescente complessità del contesto macroeconomico e la richiesta strutturale di liquidità stanno accelerando l’evoluzione di questo asset class. La progressiva emersione di mercati secondari nel private equity rappresenta dunque una fase fisiologica e necessaria nel percorso di maturazione del settore. Si tratta di un’evoluzione che rende il mercato più accessibile, trasparente e funzionale per tutte le controparti coinvolte.
Le forme delle transazioni secondarie: LP-led e GP-led
Nel panorama del private equity, le operazioni secondarie possono assumere configurazioni diverse. In primis vi sono le cosiddette transazioni secondarie dirette, in cui gli investitori si scambiano partecipazioni in società private.
“Più frequentemente tuttavia – precisa l’esperto di Carmignac – il mercato si articola attraverso operazioni su fondi esistenti, distinguendo tra quelle guidate dai Limited Partner (LP) e quelle promosse dai General Partner (GP). Le prime si verificano quando un investitore cede la propria quota in uno o più fondi a un acquirente secondario, che ne eredita diritti e obblighi. Le seconde, invece, si configurano come operazioni più complesse, finalizzate alla riorganizzazione del capitale o all’estensione della durata degli investimenti attraverso la creazione di veicoli dedicati. In entrambi i casi, il risultato è una maggiore fluidità e un più efficiente ricircolo di risorse all’interno del sistema”.
Un’esigenza crescente di liquidità strutturale
La crescente diffusione dei mercati secondari nel private equity risponde a un’esigenza sempre più sentita dagli investitori: l’accesso a strumenti di liquidità in un contesto, per sua natura, illiquido e con orizzonti temporali estesi.
“In un periodo segnato da tassi d’interesse elevati, rallentamenti nelle attività di fusione e acquisizione e una debolezza generalizzata del mercato IPO – sottolinea Boscher – i gestori sono spesso costretti a prolungare la detenzione degli asset oltre le previsioni iniziali. In questo scenario, il mercato secondario diventa un canale alternativo e strategico per liberare risorse, ribilanciare il portafoglio e cogliere nuove opportunità di investimento. E anche in un contesto più favorevole, la domanda di soluzioni liquide continuerà a essere strutturale, guidata da esigenze personali e finanziarie che trascendono il ciclo economico”.
Oltre la liquidità: opportunità strategiche per gli investitori
Pur nascendo come risposta a un bisogno di liquidità, i mercati secondari del private equity offrono vantaggi che vanno ben oltre la semplice monetizzazione delle quote.
“In primo luogo – spiega l’esperto della casa di gestione parigina – consentono agli investitori di accedere a portafogli già consolidati, in cui le società target si trovano in una fase più avanzata del loro ciclo di vita. Questo si traduce in una riduzione del rischio tipico degli investimenti in blind pool e nella possibilità di effettuare una due diligence più approfondita. Inoltre, tali operazioni avvengono spesso a prezzi scontati, in cambio della fornitura di liquidità, e offrono margini di negoziazione su aspetti come la tempistica dei pagamenti o l’eventuale utilizzo della leva finanziaria. Un altro elemento distintivo è la mitigazione della cosiddetta J-curve: investire in secondari significa posizionarsi in una fase del ciclo in cui i rendimenti cominciano a emergere più rapidamente, con tempi di ritorno del capitale significativamente abbreviati rispetto agli investimenti primari”.
L’approccio di Carmignac: focus sui secondari
In questo scenario in rapida evoluzione, alcuni gestori stanno assumendo un ruolo pionieristico nel rendere il segmento accessibile a un pubblico più ampio di investitori. Carmignac, rappresenta una di queste realtà.
“La nostra strategia dedicata ai mercati privati rappresenta uno dei pochi veicoli focalizzati esclusivamente sul private equity – spiega in dettaglio Boscher – con una significativa allocazione nei mercati secondari. L’obiettivo è chiaro: offrire agli investitori un accesso tempestivo e professionale a una tendenza di lungo periodo, già oggi concreta e misurabile nei suoi effetti. Con un volume di transazioni che ha toccato i 160 miliardi di dollari nel 2024 e prospettive di ulteriore crescita, il mercato secondario del private equity si conferma una risorsa strategica per costruire portafogli più flessibili, resilienti e performanti”.
Per maggiori informazioni si prega di fare riferimento alla pagina del fondo Carmignac Private Evergreen