Nonostante i progressi già fatti, c’è ancora tanto lavoro da fare per colmare il divario retributivo di genere o Gender Pay Gap a livello globale. Il ritmo, infatti, è ancora molto lento: secondo il Global Gender Gap 2024 del World Economic Forum ci vorranno circa 134 anni per raggiungere la piena parità tra uomo e donna.
In questo scenario, le politiche DEI (Diversity, Equity & Inclusion) nel contesto aziendale non possono essere più una scelta, devono diventare una responsabilità etica. Anche perché diventano un buon punto di partenza per valutare le disuguaglianze di genere e la cultura lavorativa complessiva di un’azienda, requisiti oggi fondamentali per gli investitori più attenti alla costruzione del proprio portafoglio. Ma in che modo un’analisi di queste disparità può essere vantaggiosa per le aziende? Lo spiegano Indriatti van Hien, portfolio manager, e Ruchi Biyani, corporate governance lead di Janus Henderson Investors.
Divario retributivo di genere: definizione e obblighi di legge
Il divario retributivo di genere misura la differenza tra le retribuzioni medie orarie di uomini e donne in percentuale rispetto alla retribuzione oraria media degli uomini (escludendo le ore di straordinario). Si differenzia dal principio di parità di retribuzione per pari lavoro che, invece, impone che uomini e donne siano retribuiti equamente quando ricoprono uno stesso ruolo.
Nell’ottica di assorbire questo gap – salariale e non -, da alcuni anni, in molti Paesi, è richiesta più trasparenza su questi temi e una rendicontazione puntuale da parte delle aziende sugli obiettivi già raggiunti, così come su come quelli futuri.
“Per esempio, – spiega Indriatti van Hien – dal 2017 nel Regno Unito le aziende con 250 (o più) dipendenti hanno l’obbligo di pubblicare i dati relativi al Gender Pay Gap, includendo anche informazioni sulle retribuzioni medie e mediane e le azioni intraprese per ridurre questo divario. Questa rendicontazione obbligatoria dimostra quanto stia crescendo l’importanza delle metriche legate al capitale umano, non solo per la reputazione aziendale, ma anche per il benessere dei dipendenti e per le performance di mercato per gli investitori”.
Gli investitori, infatti, sono sempre più coinvolti nel monitoraggio delle politiche di Diversità, Equità e Inclusione (DEI) delle aziende in cui investono e questo è uno degli aspetti emersi anche nell’analisi realizzata dai team d’investimento di JHI. “Da queste analisi, basate sui dati dell’Office of National Statistics, – continua van Hien – è emerso che il divario tende a crescere con l’età, soprattutto per i dipendenti a tempo pieno dai 40 anni in su. Ed è molto più pronunciato in determinati settori, finanziario e assicurativo prima di tutti”.
Le implicazioni per le aziende: rischi e opportunità
Sebbene questo monitoraggio sia vantaggioso per gli investitori perché permette loro di costruire un portafoglio che supporti il cambiamento, per le aziende la situazione è un po’ diversa.
“La rendicontazione presenta sia aspetti positivi, sia alcune limitazioni”, spiega Ruchi Biyani.
Il primo vantaggio è la promozione della trasparenza. Pubblicare i dati relativi al divario retributivo aiuta a creare un ambiente più aperto e incoraggia le aziende a essere più responsabili. “Le aziende impegnate a ridurre le disparità salariali, inoltre, migliorano il morale e la soddisfazione dei dipendenti, con una conseguente riduzione del turnover”, continua Biyani. Questo introduce il secondo aspetto positivo: la migliore fidelizzazione del dipendente.
Tra quelli negativi, invece, c’è innanzitutto il rischio di pubblicità negativa. La divulgazione dei dati relativi ai “passi” già compiuti può, però, mettere in luce le lacune ancora da colmare. Questo può diventare dannoso per la reputazione dell’azienda. In secondo luogo, ci può essere il rischio di interpretazione errata dei dati. “Si tratta di dati ‘grezzi’ che, in quanto tali, non tengono sempre conto delle differenze di ruolo, ore lavorative o esperienza tra i dipendenti e questo può causare una lettura errata delle ragioni alla base del divario retributivo”, conclude Biyani.
3 azioni innovative per ridurre il gender gap
Ma ci sono delle pratiche che possono contrastare l’espansione di questa disparità? Gli esperti di Janus Henderson Investors sono convinti di sì. Ecco 3 esempi concreti:
- Impegno della leadership: l’impegno da parte della dirigenza di rispettare alcuni obblighi interni incentrati sul rafforzamento della diversità e inclusività in azienda. Per esempio, l’obbligo per ogni membro di fare da mentore ad almeno una donna o a un individuo appartenente a categorie sottorappresentate;
- Partnership esterne e programmi di apprendistato: collaborare con organizzazioni esterne per lavorare sulla formazione di donne e persone non binarie nei settori STEM (presenti in percentuali molto ridotte rispetto agli uomini);
- Monitoraggio proattivo della parità retributiva: con l’utilizzo di tool tecnologici, le risorse umane riescono a valutare i dati retributivi dei dipendenti con cadenza trimestrale, consentendo un tempestivo adeguamento dei salari quando necessario.
Per concludere
Le aziende impegnate in pratiche simili sono quelle che sul lungo periodo potranno ottenere ottimi risultati. “Come investitori, l’impegno a monitorare e coinvolgere le aziende nelle loro iniziative DEI è fondamentale, anche se solo per tenere il tema in primo piano nei team di gestione”, spiega Indriatti van Hien.
“La trasparenza sul divario retributivo non è solo una questione morale, ma anche una leva strategica per il successo aziendale a lungo termine. Nei prossimi anni le politiche sulla diversità continueranno a essere fattori cruciali per gli investitori e siamo convinti che le aziende che ottengono buoni punteggi ESG e che hanno a cuore valori come l’inclusione e la diversità saranno capaci di prosperare in un mercato sempre più competitivo”, conclude.