Dazi si, dazi no. Dazi a partire da oggi, forse meglio da domani, dal 2 aprile o subito dal 12 marzo. Dazi contro Canada, Messico, Cina, no contro tutto il mondo, ma forse non più il Messico. Siete confusi? Sicuramente non siete gli unici.
Donald Trump ha iniziato a parlare di tariffe e dazi durante la sua campagna elettorale e subito dal suo primo giorno alla Casa Bianca ha ripreso in mano l’argomento. Però non ha mai offerto mai una soluzione definitiva, o almeno una che durasse più di qualche giorno.
La guerra dei dazi trumpiani è iniziata – almeno ufficialmente – il 4 marzo. Il tycoon aveva ufficializzato davanti al Congresso la decisione di aumentare le tasse del 20% contro Canada e Messico e del 10% contro la Cina, ovvero i tre Paesi con l’interscambio più importante con gli Stati Uniti. Chiaramente queste minacce non sono passate in sordina. Da una parte il Dragone d’Asia si era detto pronto ad affrontare una guerra commerciale e, dall’altra, Justin Trudeau ha ribadito l’indipendenza canadese e la rapida implementazione di contro-dazi.
Dazi oggi: tra minacce e realtà
Il dibattito tra Stati Uniti e Canada è sempre più acceso, con un botta a risposta a suon di tariffe sempre più alte da entrambi i lati del confine. Infatti, mentre Trump continua a rilanciare l’idea di rendere il Canada il cinquantunesimo Stato, eliminando ogni possibile tariffa, il premier dell’Ontario ha imposto dazi del 25% sull’elettricità esportata negli Stati Uniti. Subito dopo gli US hanno risposto prima con dazi del 25% su acciaio e alluminio senza eccezioni o esenzioni partire dalla mezzanotte del 12 marzo, che potrebbero alzarsi al 50% a partire dal 2 aprile, poi sono tornati sui propri passi, annullando le minacce.
Nel frattempo però sono ufficialmente partiti i dazi del 25% a livello globale sui acciaio e alluminio e per la prima volta l’Europa è stata direttamente coinvolta nella guerra commerciale.
L’unica certezza, insomma, è l’incertezza e gli effetti di queste domande senza risposta sono già visibili sul mercato. Valutare i potenziali danni all’attività economica è un’impresa ardua, vista la rapidità con cui gli eventi di cronaca continuano a cambiare. Nel frattempo si è già tornati a parlare di una possibile Trumpcession. L’indice S&P500 ha già bruciato tutti i guadagni post elettorali, mandando in fumo 3.600 miliardi di dollari di capitalizzazione in poche ore.
La domanda fondamentale per gli investitori, secondo Jared Franz, economista di Capital Group, “è se siamo all’inizio di un nuovo cambiamento strutturale nell’ordine geopolitico mondiale o se stiamo assistendo a una continuazione delle tendenze che si sono manifestate nell’ultimo decennio”. Se da un certo punto di vista, infatti, il protezionismo è un fenomeno che si sta rafforzando in tutto il mondo, non solo negli Stati Uniti, allo stesso tempo la vittoria di Trump rappresenta un cambiamento strutturale nell’approccio degli States al ruolo di leadership nel mondo.
Tariffe a stelle e strisce: da cosa dipendono?
Se è molto complesso capire come si muoverà il mercato nei prossimi mesi in risposta a dazi ancora da definire, potrebbe essere importante capire le motivazioni che hanno spinto Trump a puntare su queste politiche, nonostante il rischio di una guerra commerciale. L’esperto ha selezionato quattro possibili motivazioni:
- Diminuire la dipendenza dalle catene di approvvigionamento, in particolare in Paesi come la Cina. In quest’ottica l’obiettivo è quello di riportare nei confini statunitensi alcune attività produttive;
- Ripristinare l’equilibrio con altri partner commerciali, come Europa, Messico, Canada e Giappone, cercando di ridurre il deficit commerciale;
- Fare pressioni su altri Paesi così da negoziare su temi importanti per gli Stati Uniti, come la repressione dell’immigrazione illegale o il contenimento del flusso transfrontaliero di droghe illecite;
- Aumentare le entrate del governo, così da compensare l’impatto di altri obiettivi politici, come i tagli delle tasse e la nuova politica di de-regolamentazione.
Per capire quali tra queste motivazioni erano veramente nella mente di Trump sarà necessario vedere come si comporterà nei prossimi mesi. “Ad esempio, è improbabile che le tariffe utilizzate a fini negoziali persistano per lunghi periodi di tempo. Al contrario, le tariffe che fanno parte di un più ampio processo di disaccoppiamento potrebbero rimanere”, spiega Franz.
Nonostante la nube di incertezza in cui il mercato sta navigando nelle ultime settimane, lo scenario di base rimane quello di un’economia statunitense che continuerà a crescere in modo sano, trainata da una solida spesa per i consumi e dagli investimenti delle imprese. Concentrarsi sui fattori fondamentali dell’economia, come i redditi e gli utili, è il modo migliore per fare previsioni sull’attività. Tuttavia, non si possono ignorare gli sviluppi geopolitici. Se una simile situazione dovesse persistere, l’incertezza potrebbe far sì che l’attività economica si discosti da questi driver in modi sorprendenti.