Il 9 Aprile 2020 la pandemia di Covid-19 registrava il triste traguardo del milione e mezzo di contagi in tutto il mondo, imprimendo una torsione profonda nell’intero sistema economico-finanziario mondiale. Dalla Morte Nera nel Medioevo all’Influenza Spagnola nel ‘900 le pandemie hanno sempre influenzato la storia, spingendo economisti, analisti e investitori a osservarne con attenzione gli effetti nel tempo. Oggi, a poco più di cinque anni dall’inizio della pandemia, gli esperti di Carmignac tracciano un bilancio sulle sue conseguenze più per l’economia globale e i mercati finanziari.
Un PIL globale più piccolo, per sempre
Il primo evidente effetto è stata la contrazione del prodotto interno lordo globale che, spiega Secondo Raphaël Gallardo, Chief Economist di Carmignac, “non è stato un semplice scivolone con recupero successivo, ma una perdita strutturale, stimata intorno al 3%”. A pesare maggiormente sono stati i danni irreversibili a capitale umano e sociale: “il Covid-19 ha interrotto percorsi educativi, distrutto competenze, lasciato dietro di sé una scia di fallimenti imprenditoriali e perdite in termini di know-how. La cicatrice economica non si è rimarginata neppure con le riaperture, e i tentativi di stimolo fiscale e monetario nei Paesi avanzati hanno agito più come antidolorifici che come cure risolutive”.
Nei mercati emergenti, privi di margini di manovra sufficienti per contrastare lo shock, il contraccolpo è stato ancora più severo. “Il mancato accesso a strumenti di sostegno adeguati ha ampliato la forbice tra Nord e Sud del mondo. Nei Paesi sviluppati, invece, l’intervento pubblico ha in parte nazionalizzato il rischio di credito del settore privato, permettendo alle imprese di sopravvivere e in certi casi di riconvertirsi, accelerando processi di digitalizzazione che hanno contribuito a contenere la perdita di produttività”.
La fiammata inflattiva e il ritorno del rischio sovrano
Uno degli effetti più sottovalutati della crisi pandemica è stata la rottura del consenso dei professionisti sulla natura ‘transitoria’ dell’inflazione. Gli stimoli fiscali massicci, accompagnati da una politica monetaria ultraespansiva, hanno generato un eccesso di domanda in un contesto di offerta rigida. “Il risultato – osserva Gallardo – è stato un rialzo dei prezzi su larga scala, che ha costretto le banche centrale a ricalibrare in corsa le proprie strategie, spesso con esiti contraddittori”.
In parallelo, il debito pubblico ha raggiunto nuovi massimi. Il coordinamento tra autorità fiscali e monetarie, necessario in fase di emergenza, rischia ora di sfociare in una forma di ‘dominanza fiscale’, in cui la politica monetaria è subordinata agli obiettivi di bilancio. “Questo fenomeno può alimentare un circolo vizioso tra aspettative inflazionistiche e deterioramento della credibilità istituzionale, aggravato dalla crescente sfiducia nelle élite e dalla pressione politica a redistribuire ricchezza. I populismi cavalcano questa dinamica, proponendo risposte economiche eterodosse che rischiano di indebolire ulteriormente il quadro macro”.
La fine della Pax Americana
La pandemia ha anche accelerato il passaggio da un ordine globale unipolare, centrato sugli Stati Uniti, a un mondo multipolare più instabile. Le catene del valore iperglobalizzate si sono rivelate fragili, e la consapevolezza della dipendenza da forniture critiche esterne ha spinto molti governi a promuovere la “rilocalizzazione” produttiva, in una logica di sicurezza economica prima ancora che di efficienza.
Volatilità dei consumi e asset rotation
Per quanto riguarda i consumi, la pandemia ha evidenziato come le oscillazioni delle abitudini possano impattare pesantemente la volatilità dei ricavi delle aziende .
“Il passaggio da lockdown e consumi compressi a una domanda esplosiva ha premiato per un periodo alcuni settori – spiega Kevin Thozet, membro del comitato di investimento di Carmignac – salvo poi generare assestamenti repentini. In particolare, il settore automobilistico ha visto contrarsi la domanda a fronte di un eccesso di offerta e concorrenza crescente, mentre quello dei servizi ha beneficiato di un rimbalzo post-pandemico.
L’inflazione ha ulteriormente amplificato questi squilibri, accelerando rotazioni settoriali nei portafogli. “È in questo contesto che la digitalizzazione ha conosciuto un’accelerazione senza precedenti. Le big tech hanno consolidato il loro dominio grazie all’aumento della spesa IT, passata da 4.000 a oltre 5.000 miliardi di dollari annui. Questo ha generato nuove leadership azionarie e un’espansione dell’Intelligenza Artificiale, che oggi si configura come leva strategica di differenziazione competitiva e di ottimizzazione operativa, pur presentando sfide in termini di governance e gestione del rischio”.
Default e ritorno alla selezione attiva
Il progressivo ritiro dei sostegni emergenziali ha comportato un aumento dei tassi di default, in particolare nei settori più vulnerabili come l’immobiliare e la diagnostica privata. Tuttavia, secondo Thozet, “il ritorno del rischio di credito non deve essere letto in chiave allarmistica: in un contesto di normalizzazione, la selezione attiva delle esposizioni torna a essere un fattore cruciale nella costruzione di portafoglio”.
Gli attuali rendimenti offerti dal mercato del credito risultano interessanti, ma implicano un’analisi approfondita delle strutture di bilancio, delle esigenze di rifinanziamento e della resilienza delle filiere produttive. “La supply chain, infatti, è diventata un nuovo campo di valutazione del rischio fondamentale: chi gestisce la continuità operativa in modo efficace acquisisce un vantaggio competitivo strutturale”.
La svolta sistemica sulla sostenibilità
Sul fronte della sostenibilità, la pandemia ha segnato un passaggio epocale nella concezione stessa degli investimenti ESG. “L’effetto netto della pandemia sull’ambiente è stato negativo – sottolinea Lloyd McAllister, responsabile degli investimenti sostenibili di Carmignac – in modo particolare a causa dell’esplosione dei rifiuti di plastica monouso”.
Tuttavia, proprio la crisi ha posto le basi per un cambio di paradigma nel modo in cui gli investitori valutano il concetto di sostenibilità. Nonostante i progressi in ambito scientifico, tecnologico e nella governance abbiano contenuto il numero di vittime rispetto alle pandemie del passato, il Covid-19 ha messo in evidenza importanti lacune nella preparazione globale, nel coordinamento tra Stati e nei protocolli di controllo delle infezioni
“Il concetto di ‘stewardship sistemica’ si è fatto strada tra gli investitori istituzionali: il valore di un’impresa viene oggi valutato anche in base al suo contributo alla stabilità del sistema nel suo complesso. È questo il principio che ha guidato l’allocazione verso le biotech durante la corsa al vaccino, e che oggi si applica a sfide come la resistenza antimicrobica o il climate change. In parallelo, l’introduzione della Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) in Europa ha rafforzato il ruolo dei fondi Articolo 8 e 9, spingendo gli asset manager verso una maggiore trasparenza e integrazione dei fattori ESG nei processi di investimento”.