Lo studio “Selling Fast and Buying Slow” ha analizzato i dati di 783 grandi investitori da gennaio 2000 a marzo 2016, per capire quanto siano effettivamente “bravi” i re della finanza
Rispetto a una scimmia ubriaca questi investitori generano l’1,2% all’anno in più quando comprano azioni e lo 0,8% in meno quando le vendono
Gli autori dello studio suggeriscono che questa asimmetria di risultati possa essere spiegati che “i pensieri lenti e veloci” del premio Nobel Daniel Kahneman
Lo studio
In particolare dallo studio emerge come i titani della finanza siano dei geni quando scelgono quali azioni comprare, ma quando si passa all’altra parte importante del loro lavoro – scegliere quali azioni vendere e quando – anche queste rockstar non siano meglio di una scimmia ubriaca che lancia freccette. Lo studio è stato ideato da Lawrence Schmidt (Mit) e Alex Imas (University di Chicago), due economisti che al tempo dell’università dibattevano sulla razionalità o meno degli investitori, e sostenuto da Klakow Akepanidtaworn, economista ora al Fondo Monetario Internazionale e da Rick di Mascio, investitore professionista a capo di Inalytics, società che traccia l’attività di investimento degli investitori delle principali società finanziarie per valutare e migliorare le loro prestazioni. Gli economisti hanno analizzato i dati di 783 grandi investitori da gennaio 2000 a marzo 2016. Si tratta di investitori che gestiscono in media portafogli da non meno di 600 milioni di dollari. Per valutare effettivamente le performance di questi investitori, gli autori hanno confrontato i loro risultati con quelli che si sarebbero potuto ottenere seguendo la strategia alternativa d’investimento più semplice: investire a caso, o meglio come una scimmia ubriaca che lancia freccette su una lista di titoli presenti in portafoglio per decidere quali comprare e quali vendere.
Investitore contro scimmia
La prima grande scoperta degli economisti è che questi finanzieri sono dei veri maghi quando si tratta di comprare azioni. Hanno delle abilità che potrebbero giustificare l’addebito di commissioni elevate ai clienti. In questo caso l’investitore infatti batte la scimmia ubriaca mediamente di 1,2 punti percentuali. Per il potere dell’interesse composto, questa percentuale – che all’apparenza può sembrare contenuta – rende questi investitori delle rock star nel mondo della finanza. Tuttavia, quando si tratta di vendere i rapporti di forza si invertono. Le azioni che gli investitori hanno venduto sono finite per salire di valore più velocemente di quelle che hanno deciso di tenere. Se i loro clienti avessero invece assunto la scimmia con le freccette per scegliere a caso quali azioni vendere, i portafogli dei clienti avrebbero guadagnato 0,8 punti percentuali in più all’anno. Di nuovo, questa è una quantità enorme nel mondo della finanza, quantità che fa la differenza tra avere una Bugatti o una Ford Focus.
Pensieri lenti e veloci
Come si spiega una tale asimmetria di prestazioni? La finanza comportamentale viene in aiuto, come suggerisce il titolo stesso della ricerca “Selling Fast and Buying Slow”, un chiaro riferimento al libro “Thinking, Fast and Slow” dello psicologo premio Nobel Daniel Kahneman. Alla base della teoria avanzata da Kahneman l’uomo è dotato di pensieri lenti (sistema 2) e pensieri veloci (sistema 1). I primi afferiscono a un modo di prendere decisioni più razionale, i secondi fanno prendere scelte più istintive e automatiche. “Il titolo del nostro articolo dice fondamentalmente che le persone usano il Sistema 2 deliberativo quando prendono decisioni di acquisto e usano il più intuitivo, automatico Sistema 1 quando prendono decisioni di vendita” scrive Imas. Secondo gli autori questo avviene, almeno in parte, perché comprare è più sexy che vendere e soprattutto perchè le persone prendono decisioni peggiori quando mancano di feedback. Quando gli investitori comprano azioni, hanno qualcosa da guardare per vedere come stanno andando e possono imparare dagli errori del passato. Quando invece vendono un’azione questa semplicemente sparisce dai radar dell’investitore, e dunque non possono imparare dai loro errori di vendita passati.