L’industria del private equity è pronta a rialzarsi. Dopo un anno complesso, segnato da un forte rallentamento nel numero dei deal, -35% secondo l’ultimo report pubblicato da Bain & Company (leggi qui), “sembrano esserci le condizioni per una ripartenza”, scrivono gli analisti della società di consulenza. E d’altra parte rimane vivace l’interesse per i private market da parte dei grandi patrimoni, in cerca di nuove opportunità di diversificazione, de-correlate rispetto all’andamento di listini azionari e reddito fisso.
Una richiesta incalzante, complice il rally di Borsa travolgente degli ultimi 15 mesi, che rende i mercati liquidi vulnerabili a possibili cambi di rotta improvvisi. I private asset, però, sono complicati. Richiedono una conoscenza più profonda, in un mercato dove la dispersione delle performance consegnate dai diversi operatori è particolarmente accentuata. Come orientarsi? Quali sono i trend da cavalcare? E come intercettare le idee d’investimento che appaiono, sulla carta, più promettenti?
Sono domande che We Wealth ha rivolto a Giacomo Stratta, fondatore e ceo di Obsidian Capital sgr, asset manager indipendente, con al proprio attivo quasi un miliardo di raccolta, dal 2018 a oggi, e un focus esclusivo sulle strategie di private market, declinate in oltre dieci fondi alternativi, con differenti specializzazioni settoriali e geografiche.
Le opportunità del Private Equity in Asia
In un mercato che richiede competenze di alto profilo, non si può essere bravi a fare tutto. Quali sono le vostre aree di specializzazione?
Siamo pionieri in Asia, offriamo verticali d’investimento nel tech e ai nostri grandi sottoscrittori anche l’accesso a deal di eccezione, con un coinvestment fund dedicato, senza dimenticare un approccio globale ai private market, con le strategie di private equity e private debt che ci vedono selezionare i migliori asset manager internazionali a beneficio dei nostri investitori.
Come selezionate le idee d’investimento che entrano nei vostri portafogli?
Vogliamo posizionarci nel segmento mid cap globale – indicativamente caratterizzato da fatturato intorno a un miliardo di dollari – con un asset mix equilibrato, che vede il 40% dei nostri investimenti in Usa, il 35% in Asia e il restante 25% circa in Europa.
La scelta dei partner
Che profilo hanno i player che selezionate?
Sono asset manager in crescita e con un approccio simile al nostro, in grado di offrire un’ampia diversificazione e solidità ai nostri investitori. Li portiamo in Italia, dove il grado di penetrazione dei private market è ancora molto basso: solo 1% della raccolta mondiale, infatti, proviene dal nostro Paese.
Nei mercati privati, la dispersione dei risultati è più ampia che in quelli liquidi…come si intercettano i migliori gestori?
Oggi più che mai bisogna affidarsi agli asset manager stabilmente posizionati nel primo quartile. Per farlo, per scovare questi talenti, occorre essere curiosi, preparati e incontrare ogni giorno nuovi gestori, con interviste e due diligence anche in loco, dove poter apprezzare effettivamente i diversi approcci, stili manageriali e di gestione. In questi anni, abbiamo selezionato oltre 55 asset manager, investito in 75 target per i nostri fondi e visitato oltre 200 headquarter nel mondo.
Le strategie del Private Equity sul fronte tecnologico
La tecnologia ha tirato la volata ai listini azionari, specialmente quello americano. C’è chi teme un eccesso di euforia. Vale anche per i mercati privati?
Per noi la tecnologia è una componente essenziale degli investimenti, da sempre. Perciò, ora abbiamo voluto dedicare un prodotto a questo megatrend, destinato, a nostro avviso, a dominare i prossimi decenni. Bisogna però essere selettivi. Noi, per esempio, non investiamo nel segmento venture capital: tramite i nostri fondi, selezioniamo aziende in uno stadio più evoluto, con una buona maturità, fatturati entro 500 milioni di dollari e risultati consistenti; realtà che presentano marginalità elevata e posizioni finanziarie robuste. Sono player di private equity a pieno titolo, i cui sottostanti sono prodotti digitali anziché fisici. Stiamo parlando di un settore che si avvia a una certa maturità, con i segmenti tech e semiconduttori che sovraperformano sistematicamente rispetto agli altri mercati, ormai dal 2018, pressoché in tutti i cicli di mercato.
Inoltre, il software ha mostrato un’estrema resilienza, con un recupero veloce e consistente, in ogni crisi del mercato, come ha confermato durante il periodo pandemico e non ultimo nel contrastare gli effetti negativi del bear market del 2022. Dopo il picco valutativo del 2021 e la conseguente contrazione nel 2022, il 2023 ha dimostrato come digitalizzazione, reti wireless, cloud rappresentino ancora una significativa opportunità per gli investitori globali. Non ultimo, le società tech hanno un holding period ridotto rispetto alla media del mercato, con circa la metà degli investimenti che resta in portafoglio per meno di quattro anni, garantendo un rapido tournover delle posizioni.
L’intelligenza artificiale è un’area imprescindibile a cui volgere lo sguardo…
Guardiamo all’Ai come una spinta importantissima per tutto il comparto, ma non dimentichiamo IoT (internet delle cose), realtà virtuale e aumentata, robotica avanzata, blockchain, quantum computing e interfacce neurali, cloud & Saas, le reti 5G e i dispositivi mobili, così come la cybersecurity. Stiamo parlando di tecnologie complementari, in grado di trainare il mercato dei data & analytics, ripensare la potenza di calcolo.
In Asia come siete posizionati?
È un’area in trasformazione e crescita costante, destinata a diventare, nell’arco dei prossimi anni, il vero competitor del mercato americano, già oggi con oltre 6.000 asset manager attivi nei private capital. In Asia, investiamo da quasi 15 anni. È un segmento che richiede grande focalizzazione e profonda conoscenza del territorio, peraltro vastissimo ed estremamente diversificato: così, abbiamo voluto realizzare una partnership in loco, con Asia Heritage di Thrive Group, player altamente specializzato e con oltre 35 professionisti dislocati in sette punti nevralgici del continente asiatico.
I nostri partner ci supportano nella conoscenza del territorio, anticipando le evoluzioni del mercato e consentendoci di avvicinare nelle continue nuove opportunità d’investimento, che possono essere di interesse per i nostri fondi, tanto quelli con approccio globale, quanto per i prodotti con focus esclusivo sul mercato asiatico.
In definitiva, Asia è ancora oggi sinonimo di Cina?
No, non necessariamente. La Cina resta un player importantissimo, oggi anche in un’ottica momentum, con interessanti possibilità offerte dal mercato secondario, in chiave opportunistica, ma l’Asia è molto di più. La guerra commerciale tra Usa e Cina, combattuta a colpi di dazi e sanzioni, ha portato al cosiddetto “China +N” ovvero alla ricerca di fornitori alternativi a quelli cinesi, di cui stanno beneficiando i paesi limitrofi: India, Vietnam, Corea, più in generale tutto il blocco Asia Pacifico e del Sud Est asiatico. Sono questi i nuovi mercati a cui guardare, sempre con grande attenzione alla qualità degli investimenti e con un elevato grado di diversificazione.
La strategia di Obisidian con gli intermediari
Quali sono i vostri rapporti con le banche, che sono storicamente il canale più vicino agli investitori italiani?
È vero, da sempre gli investitori guardano alla propria banca di riferimento per accedere ai diversi mercati. È in parte così anche per i private market, pur con una quota crescente di sottoscrittori che si rivolgono direttamente alle boutique finanziarie come la nostra, cercando qualità, dialogo e confronto diretto. Noi ci poniamo come interlocutore delle banche tradizionali, offrendo diversi approcci: quale gestore in delega di prodotti dedicati agli istituti bancari e su misura per la clientela servita, ovvero proponendo strutture master-feeder, cui possono rivolgersi realtà più piccole o che si stanno avvicinando per la prima volta ai private asset, beneficiando così di elevata diversificazione, grazie a masse più consistenti e che vedono un parterre di investitori più ampio. Alcuni intermediari scelgono, poi, di distribuire direttamente i nostri prodotti, facendo leva sul nostro brand e sulla riconoscibilità di un approccio altamente specializzato.
I private market sono un bacino privilegiato d’interesse per gli imprenditori e le grandi famiglie italiane.
Obsidian Capital nasce dalla volontà di alcune famiglie imprenditoriali di investire nei private market con continuità e professionalità: da sempre, quindi, ci rivolgiamo alle grandi famiglie italiane. Mi lasci dire che questa tipologia di investitori apprezza in modo particolare alcuni punti distintivi della nostra proposta.
A cosa si riferisce?
Per prima cosa abbiamo un focus esclusivo sui private asset. Poi, siamo un player realmente indipendente, stabilmente controllato dai fondatori e dai suoi manager. Abbiamo dato vita a una realtà in cui i manager sono anche partner, pienamente coinvolti nella crescita della società. Aprire il capitale e condividere i risultati aziendali, anche attraverso un sistema premiante meritocratico ed esteso non solo ai soggetti apicali, ma anche ai più giovani e talentuosi, ci permette di attirare expertise sempre più elevate, dal contesto italiano ed estero. Così, seppur con un’età media inferiore a 45 anni, vantiamo oltre 200 anni di esperienza cumulata, maturata in ambito internazionale e con provenienze e professionalità trasversali, dal private banking all’asset management, dall’automotive al marketing.
Da chi è composta la vostra squadra?
La struttura è in continua crescita, 20 professionisti, presenti nelle sedi di Torino – dove Obsidian Capital nasce – e Milano e dal 2023 anche a Singapore, una piazza per noi strategica visto l’approccio globale dei nostri investimenti. Qui abbiamo aperto un hub di ricerca. L’allineamento di interessi è tra i più elevati nel mercato italiano, con un founders commitment superiore al 20%. Questo significa che siamo noi stessi investitori al fianco dei nostri clienti, una garanzia e una testimonianza tangibile del nostro impegno di lungo termine nella società che abbiamo creato e a cui ci dedichiamo quotidianamente.
Chi è Giacomo Stratta
Laureato in Economia aziendale presso l’università L. Bocconi, Giacomo Stratta è fondatore e ceo di Obsidian Capital sgr, società di gestione indipendente specializzata in investimenti alternativi nei segmenti del private equity, private debt e real estate, fondata nel 2017 con uffici a Torino, Milano e Singapore. Prima di lanciare Obsidian Capital è stato a lungo in Fenera Holding con incarichi di vice-presidente esecutivo e responsabile degli investimenti. Oggi ricopre anche il ruolo di presidente del CdA di Alkimis sgr, società di asset management con focus su strategie absolute return, e di presidente e ceo di PKP 1939 Investments Spa, holding privata che gestisce un portafoglio diversificato di asset investiti globalmente.