Era il gennaio del 1993 quando negli Stati Uniti venne alla luce lo Standard &b Poor’s Depositary Receipt, noto come SPDR e primo Etf in assoluto negoziato negli Stati Uniti. Sono passati 30 anni e lo stesso strumento, che ha cambiato nome in SPDR S&P 500 ETF Trust, risulta il più grande fondo a gestione passiva quotato in borsa con oltre 370 miliardi di dollari di asset in gestione e volumi medi di scambi giornalieri che superano i 32 mld di dollari.
L’avvento di questi nuovi prodotti finanziari – i primissimi erano comparsi già nel 1990 sul mercato canadese – negli anni ha contribuito a rimodellare il panorama degli investimenti in virtù di alcune loro caratteristiche uniche:
– Gli Etf possono essere scambiati intraday proprio come le azioni
– Non presentano requisiti minimi di acquisto
– Le commissioni degli Etf sono inferiori rispetto a quelle della maggior parte dei fondi comuni
James Ross, che è stato a lungo presidente del business globale di SPDR e che ai tempi del lancio di SPY lavorava all’amministrazione dei fondi di State Street, ha ricordato che la struttura degli Etf – ossia far confluire un paniere di azioni in un unico titolo negoziabile – è nata dalle ceneri del Black Monday del 1987 con la Sec, l’autorità di regolamentazione dei mercati statunitense, che aveva indicato i programmi computerizzati di trading come la causa di quel crollo. La struttura degli Etf ha permesso di consolidare l’esposizione diretta ai titoli sottostanti, offrendo la possibilità di negoziare intraday i vari indici azionari al di fuori dei mercati dei future e delle opzioni.
Niente amore a prima vista
Non è stato un amore a prima vista, infatti gli Etf ci hanno messo molti anni a sfondare. Nel 1996 gli asset in gestione erano solo 2,4 mld di dollari e nel 1997 i replicanti quotati erano solo 19. Nel 2000 erano saliti a 80, ancora molto pochi se si considera che oggi il solo mercato Usa è inondato di oltre 3.000 Etf con 6.500 mld di asset in gestione (dati FactSet al 31/12/2022).
I primi anni l’accoglienza di Wall Street verso gli Etf è stata alquanto fredda, principalmente per le basse commissioni di gestione, unico costo che si poteva addebitare all’investitore.
Le tappe che hanno portato alla consacrazione
A dare una scossa ha contribuito sicuramente internet e l’appeal di questi prodotti d’investimento tra i retail con l’euforia Dotcom che a fine anni ’90 ha portato l’S&P 500 a balzare del 28% medio annuo tra il 1995 e il 1999.
Dai 65 mld $ di AuM in Etf del 2000 si è passati a 300 mld $ nel 2005, 991 mld nel 2010.
Una spinta decisiva è arrivata anche dalla crescente consapevolezza tra gli investitori che l’indicizzazione aiutasse a possedere il mercato in maniera più efficiente rispetto a una selezione di singoli titoli.
Una ulteriore spinta è stata dall’allargamento ad altre asset class: in particolare nel 2004 con l’avvento del primo clone sull’oro, quello che oggi si chiama SPDR Gold Shares, che ha reso l’oro disponibile per una platea decisamente più ampia di investitori con la possibilità di scambiarlo intraday.
Altro salto in avanti si è avuto a seguito della grande crisi finanziaria del 2008 che ha portato gli investitori a constatare che i tradizionali fondi comuni a gestione attiva non erano stati in gradi di proteggere i loro portafogli e un numero crescente di ricerche ha dimostrato che i gestori attivi fanno fatica a battere i benchmark nel lungo periodo. Questo ha messo in discussione il reale valore fornito dai fondi a gestione attiva.
Da allora gli Etf hanno costantemente eroso quota di mercato ai Mutual fund raddoppiando le masse gestite all’incirca ogni 5 anni. Guardando al solo 2021, gli Etf hanno raccolto la cifra record di 942 mld $ a livello globale, mentre i fondi comuni tradizionali hanno riportato deflussi per ben 1,6 trilioni (dati Investment Company Institute).
C’è chi addirittura vede l’estinzione dei Mutual fund tra 20 anni. A tal riguardo andrà monitorato il fenomeno delle conversioni da fondo comune a ETF, che hanno preso piede nel 2021 a seguito del via libera da parte delle autorità di regolamentazione Usa.
Allargando lo sguardo a livello globale gli Etf quotati sono circa 12 mila con AuM per 9,2 trilioni di dollari (dati Etfgi).
Negli ultimi anni l’innovazione sta contribuendo a rimodellare in parte la natura degli Etf come semplice strumento di replica di indici azionari. Le proposte sono sempre più evolute e soprattutto negli Stati Uniti si stanno facendo largo gli Etf attivi (nel 2022 gli afflussi sui cloni attivi sono stati pari a 122 mld $ a livello globale secondo i dati di Etfgi).
In Europa, l’utilizzo di strumenti a basso costo quali gli Etf tra gli investitori retail sta trovando sponda nella digitalizzazione degli investimenti. BlackRock stima che gli investimenti in Etf attraverso piattaforme digitali raggiungeranno quota 500 miliardi di euro in Europa entro il 2026 e sempre nel giro di 4 anni addirittura un tedesco su quattro avrà un piano di risparmio in Etf.
Diversificazione e performance
La crescente popolarità degli Etf è confermata dall’ultimo Survey condotto da State Street Global Advisors. Dall’ETF Impact Survey, studio globale che analizza il comportamento e la percezione degli investitori nei confronti degli Etf, è emerso che chi detiene già delle partecipazioni in Etf indica che tali strumenti hanno contribuito a migliorare la performance generale del portafoglio (73% a livello globale rispetto al 78% nell’area EMEA), mentre la maggior parte degli intervistati ritiene che gli ETF abbiano migliorato la loro capacità di investimento (67% a livello globale rispetto al 72% nell’area EMEA). In particolare, la maggioranza (53%) degli intervistati nella regione EMEA (rispetto al 44% a livello globale) ritiene che il lancio del primo ETF rappresenti l’innovazione più significativa in materia di investimenti nella storia recente.
“L’industria degli ETF ha democratizzato gli investimenti, consentendo agli investitori grandi e piccoli di accedere a soluzioni di livello istituzionale in grado di offrire esposizioni efficienti e convenienti su tutte le aree del mercato globale degli investimenti”, ha dichiarato Rory Tobin, Head of Global SPDR ETF Business di State Street Global Advisors.
Dalla ricerca di SSGA emerge che a livello globale oltre la metà degli investitori intervistati concorda sul fatto che gli ETF: sono un prodotto investor-friendly (58%); presentano una maggiore diversificazione rispetto ad altri prodotti d’investimento (54%); hanno una maggiore liquidità che permette una reazione più rapida ai cambiamenti di mercato (52%); hanno un’expense ratio più bassa rispetto ai fondi comuni di investimento (51%); mitigano il rischio nei mercati volatili meglio di altri investimenti (51%).
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