“L’architetta, designer, scenografa, artista e critica italiana naturalizzata brasiliana ci ricorda il ruolo dell’architetto come coordinatore, nonché come creatore di visioni collettive”, spiega Hashim Sarkis, curatore della Biennale. “Lina Bo Bardi incarna la tenacia dell’architetto in tempi difficili, siano essi caratterizzati da guerre, conflitti politici o immigrazione, e la sua capacità di conservare creatività, generosità e ottimismo in ogni circostanza. Tra le sue opere spiccano edifici imponenti che con il loro design coniugano architettura, natura, vita e comunità. Nelle sue mani l’architettura diviene effettivamente una forma di arte sociale capace di favorire l’incontro”.
Lina Bo Bardi, da Roma a Milano, da Milano al Brasile
Achillina Bo nasce a Roma nel 1914, dove si laurea in architettura nel 1939. A Milano vi arriva l’anno seguente, dove conosce e collabora con Gio Ponti, Enrico Bo e Carlo Pagani al gruppo Lo Stile, fondato da Ponti nel 1941, il cui obiettivo è promuovere l’arte dell’abitare moderno: migliore utilità possibile, materiali impiegati subordinati alla funzione, bellezza come rapporto diretto tra edificio, scopo, materiali ed eleganza del sistema costruttivo, estetica nell’insieme e non nel dettaglio, casa come prodotto di una disposizione collettiva e sociale. Nel 1943 lo studio aperto insieme a Pagani in via del Gesù viene bombardato: Lina documenta la distruzione che colpisce l’Italia in quegli anni e partecipa al Congresso nazionale per la ricostruzione del 1945. A guerra conclusa sposa Pietro Maria Bardi, giornalista, gallerista e critico d’arte.
Tuttavia, la devastazione erede del conflitto lascia nella coppia la volontà di cambiare vita e per ricostruirla lontano dall’Italia, in Brasile. I due accettano l’invito di Francisco de Assis Chateaubriand, giornalista e imprenditore, oltre che appassionato collezionista d’arte contemporanea: per Lina il compito di realizzare quello che diventerà poi il MASP, il Museu de Arte de São Paulo (cui Assis Chateubriand dona parte della sua raccolta privata), per Pietro quello di curare la collezione dell’imprenditore, oltre che il museo stesso.
La Casa de vidro (1951)
Il primo edificio costruito da Lina in Brasile è la Casa de vidro, la Casa di vetro, del 1951. Originariamente progettata per diventare dimora di Assis Chateubriand, ospiterà invece i coniugi Bardi fino alla morte di Lina prima, nel 1992, e di Pietro poi, nel 1999, accogliendo oggi la sede dell’Instituto Bardi. La Casa di vetro è un omaggio ai cinque principi dell’architettura di Le Corbusier, incarnati e rivisitati al tempo stesso: piloni su cui si staglia la casa-palafitta, accessibile tramite una scala di blocchi di granito sospesi su una struttura metallica; pianta libera a creare un grande open space nella zona giorno, e piccole stanze nell’area notte; facciata libera da muratura che lascia spazio al vetro; finestre a nastro che diventano pareti; giardino che, al posto di trovarsi sul tetto, circonda e avvolge l’intera casa in una comunione tra interno ed esterno, edificio e spazio circostante, sfera privata e sfera pubblica, separata soltanto da leggere tende di iuta.
Il Museu de Arte de São Paulo (1957-69)
È tuttavia nel progetto del MASP che l’architettura-comunione di Lina trova il suo manifesto. Progettato nel 1947 ma realizzato tra il 1957 e il 1969, l’edificio ideato da Lina prende la forma di un grande parallelepipedo di calcestruzzo e vetro che si mostra sospeso da terra grazie all’abbraccio brutalista di due parentesi quadre di cemento rosse. All’interno, Lina realizza un allestimento privo di pareti divisorie, che ospita i capolavori della collezione permanente su lastre di vetro incastonate in cubi di cemento. Ma il museo è soprattutto un pretesto per creare un luogo di incontro per la comunità locale, con una piazza sottostante e adiacente all’edificio, uno spazio pubblico concepito per le persone e costruito da ambienti di relazione e di incontro che favoriscono il dialogo sociale. Il MASP diviene ben presto il simbolo e l’icona dell’architettura paulista brasiliana, corrente che si contrappone a quella detta carioca (di cui Oscar Niemeyer fu l’esponente principale).
Numerose le altre opere in Brasile, da committenze sia private che pubbliche: la casa di Valeria Cirell (1958), la Casa do Chame-Chame (1959 e demolita nel 1984), il centro ricreativo e sociale SESC – Fábrica da Pompéia a San Paolo (1977-86), oltre che ristrutturazioni di musei, teatri e ristoranti e allestimenti e scenografie teatrali.
Lina Bo Bardi, dal Brasile a Milano
Alla sua memoria Milano ha dedicato una piazza (oltre che uno dei punti panoramici più belli della zona), nel cuore ai limiti del quartiere Varesine, un luogo parte di quel progetto di riqualificazione dell’area che unisce la città vecchia alla nuova e che vede negli spazi pubblici delle passeggiate, dei parchi e delle piazze il suo vero punto di forza.
Un omaggio non di certo lasciato al caso: “quella di Lina Bo Bardi è stata soprattutto l’architettura dell’impegno civile, un’architettura intesa come servizio collettivo, libera dai dettami di una scuola di pensiero”, si legge tra le ragioni del Leone d’oro alla memoria. “Un’architettura moderna e antica allo stesso tempo, popolare (amazzonica, meticcia, afro-latina), vernacolare e colta, artigianale e non industriale, rispettosa delle tradizioni e anche innovativa. Il periodo post-crisi del 2008 ha visto le posizioni e i temi esplorati da Lina Bo Bardi diventare oggetto del dibattito contemporaneo sulla cultura, l’ambiente, il patrimonio storico e la produzione materiale architettonica. Il suo contributo nel campo del progetto, il metodo e l’attualità delle ricerche riescono a esercitare ancora oggi la propria influenza su artisti e progettisti contemporanei”.