Ad oggi, sono diverse le strade di intervento perseguite sul tema. Tra le principali merita citare: le academy interne alle singole mandanti, che sfornano centinaia di promettenti consulenti finanziari molto preparati sul piano teorico e poi un po’ abbandonati sul piano pratico per assenza di un adeguato modello organizzativo a supporto sia dei junior che dei manager; l’ingaggio di una figura professionale dedicata a giovani consulenti finanziari reclutati e appena promossi, il cosiddetto “supervisore” che – come un maestro orientale – ha il compito di farsi affiancare da due o tre di loro per un periodo di circa 24 mesi occupandosi di formazione e coaching, supporto attivo e passivo, etc. Considerato il basso compenso che le aziende dedicano a questa figura, gli unici professionisti disponibili a farlo spesso risultano i consulenti finanziari senior con portafogli modesti, che coprono anche questo ruolo per arrotondare, con la conseguenza di ottenere scarsi risultati e molta demotivazione.
Intanto il tempo passa e quella che, sino a ora, poteva sembrare un’opportunità è, invece, una vera e propria esigenza: l’età media della categoria dei consulenti finanziari supera, infatti, i 50 anni. Così, si sta iniziando a vedere in qualche azienda un nuovo approccio dettato da un’inversione di paradigma: non è più una necessità del junior trovare lavoro, ma è il senior a dover cercare un “erede”, non presente in famiglia, che possa proseguire nel tempo la sua attività e continuare ad accrescere il valore costruito della sua impresa (non dimentichiamo che il lavoro di un consulente finanziario è da intendersi come una vera e propria attività imprenditoriale), iniziando con il junior un percorso da “apprendista”, per poi – nel tempo – riassegnare clienti in maniera direttamente proporzionale rispetto alle capacità sviluppate. In questo caso, la mandante avrebbe un compito ben preciso, supportare economicamente l’apprendista per i primi mesi e poi splittare le provvigioni tra junior e senior seguendo il processo di riassegnazione proposto da quest’ultimo, fino ad arrivare alla fase in cui la serenità raggiunta dal consulente senior possa consentirgli di beneficiare di uno “scivolo” economico per concludere il suo rapporto lavorativo. Questo nuovo percorso ha dimostrato la sua validità, in termini percentuali, con molti più casi di successo rispetto ai precedenti ma non risolve il tema del passaggio generazionale in termini assoluti.
La scarsa consapevolezza dell’importanza di affiancare sul campo la competenza all’esperienza, da parte dei senior, rappresenta la principale motivazione di questo ritardo evolutivo. Una competenza che in parte si può acquisire dai libri, frequentando master e corsi specialistici per executive, ma che principalmente è legata a un nuovo stile di vita che nel corso di questi ultimi anni si sta diffondendo rapidamente con relativi impatti anche sul modo di relazionarsi e comunicare delle persone.