Lo avevamo lasciato nell’aprile 2022 a Venezia, nel fondaco Marcello. Erano i giorni dell’apertura della 59esima Biennale d’arte e il maestro intagliatore Wallace Chan (1956) sbarcava in Laguna con TOTEM (ripresa della precedente Titans – 2021, sempre nella città lagunare), mostra di sue sculture. Nulla di eccezionale? Non proprio: Chan è noto per i suoi microscopici intagli multi-riflesso nelle gemme preziose (come il Wallace Chan cut, messo a punto nel 1987) e in genere per le sue lavorazioni da miniaturista. Quelle sculture presentate a Venezia – in ferro e titanio, materiale molto difficile da lavorare – erano monumentali. Una contrapposizione emblematica del suo dualismo di artista-artigiano.
I gioielli di Wallace Chan, fra spirito e materia
Tutto, nel lavoro di Chan, parla di yin e di yang, i due opposti per eccellenza. La magnificenza tecnica e materica delle sue opere fa da contrappeso a un contegno personale minimalista, pacato, meditativo. Frutto della cultura del suo paese, la Cina (in cui è stato definito “tesoro nazionale”) e della sua propria storia (per un periodo è stato monaco zen). A latere dell’esposizione Wallace Chan: The Wheel of Time da Christie’s Londra (4-10 settembre 2023), gli abbiamo fatto alcune domande in merito.
Il maestro all’opera nel suo laboratorio. Tutte le foto – salvo dove diversamente indicato – sono cortesia dell’artista
Come si coniuga la filosofia zen con tanto lusso?
“Come persona sono del tutto allineato alla filosofia cinese dell’essere umili, discreti, non eccessivi, non egocentrici. Ma il mio processo creativo è esplosivo, selvaggio, pazzo multi-cromatico, voglio sorprendere le persone e manipolare molti elementi. Se le mie opere fossero come sono io, sarebbero noiose e non le vorrebbe nessuno. Sarebbe impossibile organizzare delle mostre sfavillanti come questa e attrarre gente da ogni dove. Sono un vecchio signore cinese silenzioso, che ama la calma e la gentilezza; ma le mie opere devono differenziarsi da me per poter vivere. Più le esibizioni dei miei lavori sono imponenti e importanti più io mi sento piccolo. Le mie opere sono la mia priorità, sono sempre davanti a me, che resto felice di essere me stesso e di mantenere basso il mio profilo, raccontando la mia filosofia e i miei gioielli al pubblico. Amo stare nel mio laboratorio pensare ai miei prossimi progetti e attuarli”.
Chi è il tipico collezionista di Wallace Chan?
“I collezionisti dei miei gioielli provengono dai settori più disparati. Dalla finanza al settore legale a quello medico. È difficile tracciare un profilo medio del mio collezionista. Una cosa in comune però ce l’hanno: sono tutti molto esperti di gioielli, conoscono le gemme e le sanno apprezzare; desiderano un pezzo unico non acquistabile nelle comuni gioiellerie, per quanto lussuose. Sono alla ricerca di significati profondi, emozioni. Del valore oltre il lusso della pietra in sé e del gioiello. Di un oggetto eterno, da passare alle generazioni successive con il suo carico di storia geologica e affettiva. I miei gioielli sono un viaggio nel tempo”.
Come sono distribuiti geograficamente i collezionisti dei suoi gioielli?
“Prevalentemente sono collocati in Europa. Ma anche negli Stati Uniti e in Medio Oriente”.
Nella collezione esposta da Christie’s, colpisce la presenza della croce, sicuramente un simbolo lontano dalla sua cultura. Ce ne vorrebbe parlare?
“Il legno della croce è fatto di titanio. Il legno stesso per me è un simbolo di Gesù. I rubini rappresentano il sangue, che in questo caso significa amore e sacrificio, diffusione del messaggio. La tormalina, verde, è simbolo della pace e della calma. I diamanti, gialli in questo caso, sono simbolo di eternità, ovvero la durata dell’amore e della passione per gli esseri umani. Credo che tutte le religioni derivino dall’amore”.
Foto di ©Teresa Scarale
Fra le sue creazioni, oltre al Wallace Chan cut e a una particolare agilità nella manipolazione del titanio, figurano una tecnologia brevettata per migliorare la luminosità della giada, elaborate incastonature per gemme senza griffe metalliche e, la Wallace Chan Porcelain, un materiale cinque volte più resistente dell’acciaio. Alla fine cos’è più importante per lei, la tecnica o il materiale?
“Per me sono ugualmente importanti. Nel processo creativo si ha bisogno di entrambe. Posso dire però che l’importanza di un materiale cresce all’aumentare della difficoltà del suo reperimento; viceversa, la tecnica è tanto più importante quanto è difficile. Ma alla fine del giorno la bilancia si rimette in equilibrio. Si torna sempre indietro all’idea dello ying e dello yang: per battere le mani, servono entrambe”.
Chiediamo al suo entourage qualche prezzo, quotazione. Ma tutti si trincerano dietro a un grande riserbo: “non è possibile dare un range di prezzo, ciascuna sua creazione è un pezzo unico”. In realtà, spulciando qualche database, si può evincere che le valutazioni di un Wallace Chan possono essere ancora interessanti, data la qualità oggettiva dei pezzi.
Le opere di Chan sono presenti nelle collezioni permanenti del Long Museum di Shanghai (2023), del Museum of Fine Arts di Boston (2023), del British Museum (2019), del Capital Museum of China (2010) e del Ningbo Museum (2010). Ha esposto al Fondaco Marcello (Venezia, 2021 e 2022), a Canary Wharf (Londra, 2022), da Christie’s (Shanghai, 2021), Asia House (Londra, 2019), Christie’s Gallery (Hong Kong, 2019), al Gemological Institute of America Museum (Carlsbad, 2011), al Capital Museum of China (Pechino, 2010), al Kaohsiung Museum of History (Taiwan, 1999) e al Deutsches Edelsteinmuseum (Idar-Oberstein, 1992).