Sommando tutte le voci di spesa, qual è il mercato che presenta meno costi totali per gli investitori privati tra Italia, Germania e Regno Unito? Una risposta a questo quesito arriva da una ricerca condotta da Vanguard a fine 2022 su un campione composto da oltre 1.000 consulenti finanziari dei tre paesi.
Il risultato che ne deriva è che il costo totale dell’investimento varia notevolmente da un Paese all’altro. Su una base media ponderata (per il cliente), la Germania è un mercato con costi significativamente più elevati rispetto all’Italia e al Regno Unito. Mentre l’andamento dei costi mediani ponderati è diverso: l’Italia ha la mediana più alta (185 punti base), seguita da Germania (175 bp) e Regno Unito (140 pb). In tutti e tre i mercati analizzati, i principali blocchi di costi riguardano le spese correnti (principalmente le commissioni di gestione dei fondi e le commissioni di vendita) e i costi di negoziazione/transazione, compresi gli spread.
La stessa survey ha esaminato anche il costo totale degli investimenti per i tre tipi di modelli di consulenza: commission-based, fee-based e ibrido. Con campioni di oltre 350 consulenti per ciascun gruppo nei tre Paesi, quello che emerge in modo statisticamente solido è che il costo totale degli investimenti è nettamente inferiore con il modello fee-based. Nel complesso, il divario appare infatti notevole: il totale medio degli investimenti con un modello commission-based è di 225 pb all’anno, quasi il 50% in più rispetto al modello fee-based.
Trasparenza dei costi
A un campione diverso, composto da 3.000 investitori (1.000 per ognuno de Paese), è stato invece chiesto di stimare il costo totale che pagano per gli investimenti. A emergere in modo lampante è che gli investitori italiani e soprattutto quelli tedeschi sottostimano i costi che vanno a sostenere, mentre i britannici pensano di spendere di più di quello che effettivamente pagano a li9vello di costi. In particolare in Germania gli investitori stimano costi totali di 161 pb rispetto ai 235 pb effettivi, in Italia credono di pagare 160 pb rispetto ai 191 pb effettivi, mentre in UK la stima degli investitori è 178 rispetto ai 164 pb reali.
Consulenza fee-based: i numeri
A emergere chiaramente è anche l’impatto della Retail Distribution Review (Rdr), introdotta una decina di anni fa nel Regno Unito, sul modello di consulenza prevalente. La survey di Vanguard rileva infatti che oggi la struttura predominante nel Regno Unito è quella fee-based, un modello applicato dal 60% dei consulenti britannici intervistati. I consulenti finanziari tedeschi e quelli italiani attualmente si affidano maggiormente a un modello commission-based (rispettivamente 47% e 43%) o a un modello misto, mentre solo l’11-15% dei consulenti intervistati applica un modello fee-based.
I consulenti britannici intervistati hanno stimato di allocare il 70% degli AuM dei clienti in fondi comuni ed Etf, rispetto al 55% in Italia e al 53% in Germania. Per contro, i consulenti italiani stimano che una percentuale molto più elevata di AuM dei clienti sia allocata in prodotti assicurativi (21%, rispetto al 14% in Germania e al 5% nel Regno Unito).
Tutti i consulenti in Germania, Italia e Regno Unito hanno indicato la consulenza sugli investimenti come il proprio ruolo principale nel servire i clienti. I dati delll’indagine mostrano però che i consulenti del Regno Unito sono molto più concentrati sulla consulenza previdenziale (con il 75% che la descrive come una funzione di consulenza chiave) rispetto ai consulenti in Germania e in Italia (rispettivamente con il 15% e il 17%).
Uno spunto d’interesse è anche su come i consulenti in Germania e in Italia potrebbero adattarsi a un modello fee-based. La survey ha chiesto ai consulenti finanziari in Italia e Germania: “Con quale probabilità lascerebbe il settore della consulenza finanziaria se si passasse a un modello fee-based?”. Complessivamente, meno del 10% dei consulenti in Germania e in Italia ha dichiarato che nel caso potrebbe abbandonare il mercato.
Rosti (Vanguard): “L’Etf diventerà lo strumento principe nella gestione della clientela retail”
A cinque anni dall’approdo in Italia con i suoi Etf, Vanguard ha tracciato un bilancio e individuato alcuni trend che si candidano a incidere sul percorso di crescita futura e quelli che invece non intende prendere in considerazione perché fuori dalla filosofia che fin dalla nascita contraddistingue il colosso Usa dell’asset management.
Per la prima volta Vanguard ha superato la soglia dei 10 miliardi di euro di asset in gestione e nel 2023 ha calamitato oltre la metà della raccolta Etf in Italia. Nel presentare questi numeri alla stampa, il responsabile Italia e Sud Europa di Vanguard, Simone Rosti, ha rimarcato come tali riscontri sono arrivati mettendo i costi come tema predominante anche attraverso partnership con reti di consulenza finanziaria e banche private. volte a dare soluzioni per gli investitori. “La Retail Investment Strategy (RIS) è stata una di quelle occasioni un po’ perse, ma è sicuramente evidente che il tema dei costi, il tema dei conflitti di interesse, sono sempre più in discussione sul mercato”, ha rimarcato Rosti che vede la consulenza finanziaria a pagamento candidata a diventare una soluzione efficace per certi tipi di clienti e di intermediari.
Rosti ha posto l’accento anche sulla spinta all’utilizzo di prodotti efficienti all’interno dei contenitori. “Se una unit linked costa il 2,5% perché ha dentro fondi attivi poco performanti e costosi, è sensato proporre lo stesso contenitore con al suo interno strumenti che permettono di abbatterne i costi, andando realmente incontro alle esigenze degli investitori privati. Quindi abbattere i costi per l’investitore, che siano la consulenza a parcella o contenitori a basso costo”.
Ci sono poi soluzioni come i pac in Etf che si stanno facendo largo tra gli investitori privati attraverso le piattaforme digitali. “In Germania è un mercato molto importante e anche in Italia può diventarlo – commenta il responsabile Italia di Vanguard – . Tuttavia gli intermediari devono riflettere su come offrire questo canale anche tramite la consulenza. In generale la crescita futura mercato Etf sarà guidata da clientela retail, sia in forma diretta che tramite intermediari. Così è successo negli Stati Uniti”.
Un altro fenomeno da osservare attentamente è quello degli Etf attivi che stanno crescendo “perché i grandi asset manager statunitensi, in passato molto refrattari verso gli Etf, si sono accorti che i consulenti finanziari negli Usa sono andati sempre più verso forme di gestione per la clientela retail con portafogli modello in Etf. Gli Etf diventano quindi un veicolo”. “Parliamo di numeri ancora bassi rispetto ai classici Etf a gestione passiva – precisa Rosti – ma danno un’idea dell’efficienza nella gestione dei portafogli in Etf per il cliente privato da parte dei consulenti finanziari, che sia gestione attiva o passiva. Sono delle dinamiche che danno l’idea di come l’Etf possa diventare lo strumento principe nella gestione della clientela retail”.
La gestione attiva portata anche tra gli Etf non rischia di creare confusione? “Mi rendo conto che per l’investitore privato sia difficile trovare la bussola, ma non è togliendo le soluzioni che lo si aiuta. Noi abbiamo gli Etf multi-asset a un costo di 25 bp che è una pseudo gestione patrimoniale gestita tecnicamente a livello attivo, ma di fatto è un posizionamento passivo a lungo termine e su questi abbiamo raccolto un miliardo in tre anni, tutti da investitori privati”.
“Va distinto tra lo strumento e il sottostante. Lo strumento Etf e lo strumento fondo assolvono a necessità diverse e sta al consulente finanziario spiegarlo, fare educational e andare insieme a capire qual è la necessità dell’interlocutore”, aggiunge Diana Lazzati, Head of Intermediary Wholesale di Vanguard.
A non scaldare il cuore di Vanguard sono invece gli Etf bitcoin. “La nostra filosofia d’investimento è impregnata su alcuni pilastri e il bitcoin non si inserisce tra questi. E’ uno strumento molto volatile, rischia di avere un impatto sulla gestione efficiente del portafoglio di un investitore privato. Vanguard non lo offre come strumento così come non è presente nella nostra piattaforma negli Usa. In futuro non posso sbilanciarmi, non so se diventerà meno volatile, ad oggi non è così”, taglia corto Rosti. “Oggi abbiamo 32 Etf quotati, decisamente meno rispetto ai nostri competitor, aggiungiamo qualche pezzo ma rimaniamo fedeli al nostro posizionamento, non siamo un supermercato che offre tutto, ma riteniamo che siamo tra i migliori a offrire esposizione alla parte preponderante del portafoglio”.