Ormai è riconosciuta la possibilità di prendere in considerazione ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto dell’assegno di mantenimento, tra i quali il periodo di convivenza prematrimoniale
Con una recente sentenza, n. 35969 del 2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata, tra le altre cose, su un tema particolarmente attuale, che attiene la determinazione dell’assegno di mantenimento.
In particolare, i giudici, nella parte motiva e in riferimento al caso di specie hanno precisato che ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento occorre chiarire se si debba tenere conto unicamente del periodo in cui si è svolta l’unione o, invece, anche del periodo antecedente, pur se caratterizzato dalla preesistenza di una relazione affettiva.
È bene anzitutto chiarire, osserva la Corte che in linea generale, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
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Vale il periodo precedente all’unione?
Parte della giurisprudenza ritiene che ai fini della determinazione dell’assegno rilevi esclusivamente la durata del matrimonio o dell’unione civile, posto che l’eventuale convivenza anteriore non integra un presupposto per l’attribuzione dell’assegno divorzile, ma costituisce esclusivamente un criterio idoneo a incidere sulla sua quantificazione sotto il profilo perequativo-compensativo, e più in particolare può venire in considerazione esclusivamente ai fini della valutazione del sacrificio delle aspettative professionali di uno dei coniugi, eventualmente derivante da scelte di vita concordate, volte a privilegiare il suo apporto alla vita familiare.
Invero, successiva e più recente giurisprudenza di legittimità ha superato questo orientamento riconoscendo un ruolo di cruciale importanza alla durata del rapporto, quale fattore di valutazione del contributo fornito da ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e di quello dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali sussistenti al momento della cessazione del vincolo.
Si è perciò attribuita importanza non al rapporto costituito a partire dall’avvio formale del vincolo coniugale, quanto allo svolgimento del rapporto nella sua effettività, contrassegnata dalle vicende affrontate dai coniugi come singoli e dal nucleo familiare nel suo complesso.
Siffatta interpretazione apre la strada ad una più ampia valutazione dei rapporti intercorsi tra i coniugi: ai fini della determinazione dell’assegno occorre perciò tenere conto delle scelte da questi compiute in funzione della realizzazione di una comunione materiale e spirituale, non solo in costanza di unione, ma anche anteriormente all’instaurazione del vincolo coniugale, ove le stesse appaiano idonee ad incidere sulla concreta ripartizione dei ruoli all’interno della famiglia.
Il mutamento della realtà sociale
Come mettono in evidenza i giudici della Corte, siffatta e ampliata interpretazione tiene conto e trova d’altronde giustificazione nella constatazione dei mutamenti intervenuti nella realtà sociale, caratterizzata ormai da un’ampia diffusione di forme più o meno stabili di convivenza di fatto, quale esperienza di vita prodromica all’instaurazione del vincolo coniugale, e dalla conseguente anticipazione delle predette scelte al periodo di tempo anteriore alla celebrazione del matrimonio o dell’unione.
La quale viene a conferire, in un numero crescente di casi, un crisma formale ad un’unione familiare già costituitasi e consolidatasi nei fatti, magari con la nascita di figli, la cui successiva dissoluzione non consente di trascurare, nella regolazione dei relativi effetti economici, le rinunce ed i sacrifici compiuti dalle parti in vista del perseguimento di obiettivi comuni e l’apporto da ciascuna di esse fornito alla realizzazione delle aspirazioni individuali ed alla formazione e all’accrescimento del patrimonio dell’altra, nonché i benefici che quest’ultima ne ha tratto in termini sia personali che economico-professionali.
Per questa ragione, è ormai riconosciuta la possibilità di prendere in considerazione ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto dell’assegno di mantenimento, tra i quali il periodo di convivenza prematrimoniale coevo al periodo di separazione che precede il divorzio, ancorché in tale lasso temporale permanga il vincolo coniugale.
Le conclusioni della Corte
La Suprema Corte ha stabilito che, in caso di scioglimento dell’unione civile, la durata del rapporto, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione.