Nel corso dell’ultimo mese il Buono del Tesoro Usa decennale, uno dei classici beni rifugio in tempi di incertezza, ha sperimentato un aumento dei rendimenti pari a 46 punti base, quasi mezzo punto percentuale in più. Nello stesso periodo il rendimento del Btp di pari durata è aumentato solo di 4,7 punti base. Il divario nel rendimento fra un titolo noto per essere supersicuro, perché emesso dalla maggiore economia al mondo, e quello italiano è intorno allo 0,7%, con il titolo americano a rendere nettamente di più. Non è l’unico trend che evidenzia un comportamento diverso da parte degli investitori negli Usa: mentre la domanda di Treasury a lungo termine cala, le masse gestite dai fondi monetari oltreoceano hanno raggiunto un nuovo record a 6.510 miliardi di dollari. Una sorpresa, se si considera che, quando i tassi di riferimento della Fed sono in calo, come in questa fase, i rendimenti di questi prodotti tendono a diminuire. In Europa, al contrario, i fondi monetari hanno registrato deflussi per due settimane consecutive.
Fondi monetari, ancora (stranamente) sulla breccia
Marie-Anne Allier, gestore di Carmignac Securité, è fra gli osservatori in parte stupiti del perdurante successo dei fondi monetari, spesso dipinti come una riserva di liquidità pronta a gonfiare nuovamente le azioni americane. “Quando le curve dei rendimenti tendono a rinormalizzarsi, cioè i tassi a lungo termine sono superiori a quelli a breve termine, i fondi monetari perdono quindi uno dei loro principali vantaggi”, ha spiegato Allier a We Wealth, poiché il loro rendimento è determinato da quanto pagano i titoli a brevissima scadenza. I fondi monetari restano una soluzione per chi vuole rischiare molto poco. Sono anche uno “strumento attendista quando l’orizzonte di investimento non è chiaro: ad esempio, Trump o Harris possono portare a visioni completamente diverse sul futuro dei mercati finanziari, e avere liquidità in attesa di vederci più chiaro non è necessariamente una cattiva idea”.
Anche per Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, il nuovo record dei fondi monetari Usa è una “apparente contraddizione” che potrebbe essere in parte ricondotta “all’incertezza della fase pre- e post-elettorale, in vista del rischio di una vittoria di Trump”. Uno scenario in cui la realizzazione del suo “programma di spesa piuttosto dispendioso” si accompagnerebbe “a un possibile forte aumento dei tassi, come già accadde dopo la prima vittoria a novembre 2016”. In più, ha aggiunto Cesarano, “osservando la dinamica della raccolta dei fondi monetari in passato, si può vedere come il calo delle masse sia avvenuto, in genere, almeno nove mesi dopo il primo taglio della Fed” poiché gli “investitori tendono a uscire dai fondi monetari solo dopo che il trend di tagli dei tassi può essere percepito come consolidato”.
Treasury Usa, rendimenti sempre più golosi
In una curva dei rendimenti che sta diventando più ripida, aumentano soprattutto negli Stati Uniti i rendimenti offerti sui titoli con scadenze lunghe. È un’opportunità che un investitore italiano dovrebbe cogliere? “A prima vista, per un investitore italiano può essere effettivamente allettante investire in un’obbligazione del governo statunitense piuttosto che nei Btp. A 10 anni, il Treasury americano offre circa il 4,17% rispetto al 3,49% dei titoli italiani. E, storicamente, è vero che siamo vicini ai livelli più alti degli ultimi 30 anni”, ha affermato Allier. Ma il problema è che comprare Buoni del Tesoro Usa vuol dire comprare dollari e quindi esporsi al rischio che un deprezzamento del dollaro possa completamente annullare il vantaggio in termini di rendimento. Strumenti derivati permettono di eliminare il rischio di cambio, ma non lo fanno gratuitamente. Al netto dei costi di copertura del rischio cambio, il rendimento dei titoli statunitensi “scende al 2,6%, ben al di sotto del rendimento dei Btp”.
Secondo Cesarano, una vittoria di Trump potrebbe rendere interessante l’investimento in Treasury proprio perché, l’esperienza storica lo suggerisce, le politiche protezioniste del leader repubblicano hanno favorito un rafforzamento del dollaro. “Anche se non sempre la storia si ripete e spesso non necessariamente nelle stesse forme ed ampiezza, l’andamento del dollaro potrebbe in parte rispecchiare quanto accadde tra il 2016 e il 2017: dopo la vittoria di Trump, il cambio euro-dollaro passò da 1,10 a 1,04 a fine 2016, per poi ritornare in area 1,20 a fine 2017”, ha affermato Cesarano, il quale ha aggiunto che occorrerà tenere conto anche del colore politico del Congresso (l’onda rossa renderebbe più concreto il programma di Trump) e dei “tempi necessari per arrivare a proclamare il candidato vincente”, con possibili riconteggi e contestazioni di non breve durata.
“L’esposizione sui Treasury potrebbe essere valutata soprattutto nel caso in cui vi fosse un temporaneo eccesso di rialzo dei tassi post-elezioni Usa in caso di vittoria di Trump, a maggior ragione se lo spread Btp/Treasury a 10 anni superasse l’area dei 100 punti base” rispetto ai circa 70 attuali.