Open banking e super-app sono i due trend chiave che stanno emergendo nel fintech rispettivamente nel mondo occidentale e in quello orientale
Stando agli ultimi dati di CB Insights, gli unicorni fintech a livello globale sono attualmente 66, con una valutazione complessiva pari a 248 miliardi di dollari
A detta di Anna Omarini, ricercatore al dipartimento di Finanza presso l’Università Bocconi, digitalizzazione, super app e open banking saranno strade percorribili a patto che in futuro chi si trova alla guida di certe realtà sia in grado di traghettare l’intera azienda attraverso una vision e una mission che siano chiare, comprensibili e condivise
Fintech über alles. La tecnofinanza, in tutte le sue declinazioni – dall’epayment alle piattaforme di lending, alle challenger bank – assume un ruolo sempre più centrale. Perché cresce in termini quantitativi ma anche perché il vantaggio competitivo che deriva dalla componente tech sta portando alla nascita di importanti sinergie con diversi settori e aree di business, non solo in ambito bancario, destinate a cambiare il mercato per come lo conosciamo.
Un dato che non sorprende perché nel mondo emergente le fintech tendono a colmare un gap nell’offerta piuttosto che essere ritenute puri “disrupter” e “per quanto anche nel mondo occidentale questa connotazione (di “disrupter”, ndr) si affievolisca alla luce delle molte collaborazioni/interazioni tra banche e fintech, permane il fatto che le seconde abbiano accelerato e dato ulteriore impulso al cambio di passo di molte realtà bancarie”.
Stando agli ultimi dati di CB Insights, gli unicorni fintech a livello globale sono 71, insieme valgono oltre 249 miliardi di dollari. Le banche “più visionarie”, secondo Omarini, sono quelle che non si limitano a mettere in campo una sola tipologia di collaborazione, ma intraprendono diverse “joint ventures, creazione di hub interni, acquisizioni, partnership con altre banche: ognuna funzionale all’obiettivo da raggiungere in termini di diversificazione, miglioramento del time to market, aumento di efficienza e così via”. Sempre CB Insights ha recentemente stilato la sua lista annuale, che raggruppa le top 250 aziende fintech (private) a più rapida crescita nel mondo. Sfogliando la classifica, accanto a unicorni come la popolare app di trading Robinhood, appaiono i nomi di alcune società in fasi meno avanzate ma ad alto potenziale. Un esempio è Qonto, fintech nata in Francia che offre un conto business 100% online dedicato a imprese e professionisti, entrata nella classifica a soli tre anni dal suo lancio. Tra le aziende più promettenti c’è anche un’italiana. Si tratta di Satispay, la piattaforma di mobile payment basata su un network alternativo alle carte di credito o debito, che ha recentemente annunciato un nuovo round di serie C da 93 milioni di euro raggiungendo una valutazione post money di 248 milioni di euro. Un round che ha visto l’ingresso di importanti investitori nazionali e internazionali tra cui Tim Ventures, Tencent, Square e Lgt Lightstone. Anche se il Bel Paese, come emerge dall’Italian FinTech Observatory 2020 di PwC, mostra ancora un evidente ritardo rispetto al panorama globale del fintech, non mancano di certo esempi virtuosi. In occasione del Milan Fintech Summit, organizzato dal Fintech District e Fiera Milano Media – Business International, sono state annunciate le 20 aziende fintech ritenute a più alto potenziale di mercato. Le insurtech Neosurance, See Your Box e Lokky; WizKey, Soisy, Cardo AI e Faire Labs, operanti nel settore del lending e del credito; Trakti e Stonize che propongono soluzioni per la cybersecurity; Indigo. ai che si occupa di intelligenza artificiale, sono state le 10 aziende italiane selezionate tra le oltre 70 candidature arrivate da ben 18 Paesi.
All’interno dello scenario delineato, Omarini identifica due trend chiave che stanno emergendo rispettivamente nel mondo occidentale e in quello orientale. Guardando all’Occidente, il trend principale, sulla spinta dei regulator, è quello legato all’Open banking. Una tendenza che, spiega Omarini, in paesi come l’Australia si è già evoluta nel concetto di open finance, direzione in cui sembra dirigersi anche l’Europa. “L’Open banking e l’apertura delle API, diventeranno un facilitatore e acceleratore per nuovi servizi e nuovi business come il money management, il portfolio financial management e altri ancora, dove la continua ricerca verso livelli di personalizzazione sempre più fini sarà la risposta necessaria alle attese crescenti della domanda caratterizzata da maggiore mobilità. Da ultimo, anche la ricerca di fonti di profitto diversificate sarà fondamentale allo sviluppo e alla crescita futura delle imprese”. In questo contesto, a detta di Omarini, sono tre le sfide principali: la capacità di creare valore e, conseguentemente, sviluppare una narrativa sempre più efficace per comunicarlo e farlo apprezzare al cliente; l’accrescere e mantenere la fedeltà del singolo al prodotto/servizio ma ancor più alla piattaforma e, non ultima, come naturale conseguenza e necessità, quella di raggiungere una profittabilità sostenibile che è “la sola a garantire la resilienza di tutte le imprese nel medio/lungo termine”.
Passando dall’Occidente all’Oriente, il secondo macro-trend, che si osserva soprattutto in alcuni paesi asiatici, riguarda le cosiddette “super-app” come la cinese We Chat o KakaoTalk, l’app più utilizzata in Corea del Sud. Queste applicazioni, spiega Omarini, sono una sorta di “one stop shopping app”, con un unico “punto d’ingresso” che centralizza una moltitudine di funzioni e servizi finanziari e non. Delle vere e proprie “multi-purpose app” che integrano molteplici soluzioni verticali. Un esempio banale? Seleziono uno store, prenoto o acquisto il prodotto/servizio, pago, e da qui si possono “inanellare” servizi post-vendita, loyalty programs. Queste app “entrano nei costumi e nelle abitudini della società, anche modificandoli e attualmente sono prevalentemente controllate da giganti tech che hanno già un presidio nel territorio (basti pensare che WeChat è controllata dal colosso tecnologico Ten- cent, ndr)”, sottolinea Omarini. “Sono piattaforme che operano in una logica di open data che, unita all’intelligenza artificiale, porta all’ennesima potenza le opzioni di personalizzazione e l’engagement del cliente; cosa che a oggi non è solo una scelta strategica ma rappresenta un must. L’ingaggio in queste piattaforme è continuo ed è necessario per la client retention (fidelizzazione del cliente, ndr), soprattutto nell’online, dove il cliente ha aspettative crescenti, esperienze continue e un’infedeltà programmata”.
Quella che si osserva nel mondo Orientale è una tendenza che secondo Omarini “può rappresentare una traiettoria anche per il futuro dell’open banking e l’evoluzione ulteriore dell’open finance”. Ma “bisognerà vedere come il mondo occidentale la integrerà e adatterà – compatibilmente alla regolamentazione presente – al proprio contesto”. “Tuttavia – conclude Omarini – digitalizzazione, super-app e open banking saranno strade percorribili a patto che in futuro chi si trova alla guida di certe realtà sia in grado di traghettare l’intera azienda attraverso una vision e una mission che siano chiare, comprensibili e condivise. Dunque, il tutto partirà da una semplice domanda da porsi, ovvero: quale banking si sta proiettando nel futuro e quale si vuole immaginare per la propria realtà aziendale. È questa la vera sfida”.